ALCUNE SCOPERTE




Ho scoperto i condizionamenti, o almeno alcuni, propri della cultura in cui sono nata e cresciuta.
Spesso tendiamo al dramma e a lasciarci travolgere più facilmente dalle emozioni rispetto ad altre culture e ad esprimerle in maniera più intensa o dargli un maggior peso. Consideriamo questo modo di agire così corretto, anche perché spesso non conosciamo altra maniera, che non ci rendiamo conto che l’eccessiva espressione, che a volte sfocia in rabbia o lamentela, ci impedisce di osservare. Quando ci scarichiamo delle emozioni non ci diamo la possibilità di osservarle e comprenderle nella loro vera natura. Le emozioni sono estremamente mutevoli, se ci fermiamo ad osservarle invece di agirle ci rendiamo conto che cambiano. Le emozioni non sono altro che reazioni condizionate, spesso da cose di cui non ci rendiamo conto. Ciò che è mutevole e condizionato non è ciò che siamo realmente, non è la nostra vera essenza, quindi noi non siamo l’emozione.
Ho scoperto di essere a volte drammatica ed emotiva e di cattivo umore. Quando me ne accorgo non cesso però di esserlo, ma il dramma e l’emozione si svuotano rimanendo solo un’abitudine.
Ho scoperto che mi lascio travolgere dalle emozioni diverse volte, ma sempre più spesso me ne accorgo, mi sveglio dal sogno e l’illusione creata dalla mente, cerco di rimanere con l’emozione senza giudicarla, mi distacco e osservo ciò che sta accadendo, a volte la subisco ancora, anche se la durata è sempre più breve. Un trucco sta nel non tentare di scacciarla, ma lasciarla essere, ascoltare ciò che ci vuole dire o semplicemente aver pazienza che passi. Se sono triste piango, se sono di cattivo umore cerco di vederne l’origine senza scaricarlo sugli altri, anche se sono entusiasta o felice mi rendo conto che è una condizione passeggera, il che mi aiuta a non sentirmi frustrata quando passa.
Ho scoperto che la mente è una gran chiacchierona, soprattutto nei momenti di cambiamento, e che spesso intraprendiamo attività solo per non stare con quel gran chiacchiericcio. A volte va bene distrarsi, con distrazioni che siano positive, che ci riempiano, però ho notato che se mi fermo ad osservarla senza giudicarla, lentamente si calma. E ho scoperto anche che l’ansia, la preoccupazione e la paura esistono solo quando non siamo nel presente, quando ci identifichiamo e ci lasciamo trasportare da quella mente chiacchierona.
Ho scoperto che la mia bambina interiore è ancora attiva e che devo imparare a comunicare con lei con dolcezza e a spiegarle ciò che sta accadendo invece di imporle qualcosa.
Ho scoperto che il corpo possiede un’energia che se non viene scaricata a livello fisico, canalizzata in qualcosa, spesso si trasforma in eccessiva attività mentale. Stare nella natura, fare movimento, aiuta. La natura è l’unico posto in cui non riceviamo condizionamenti, gli spazi aperti creano spazio mentale e ci aiutano a prendere distanza dai pensieri.
Ho scoperto che quando siamo in compagnia le energie si mischiano e spesso rimaniamo coinvolti in drammi altrui, sperimentiamo cose che non riconosciamo e con cui ci identifichiamo. Che la compagnia sia piacevole o meno a volte si può creare un attaccamento che diventa una sorta di fuga dall'osservarsi dentro. E’ necessario prendersi ogni giorno dei momenti di solitudine e silenzio in cui riconnettersi con la propria energia, in cui ripulirsi e metabolizzare, integrare ciò che viviamo. Penso che l’assenza di questi momenti in una vita frenetica e piena di stimoli sia per buona parte causa di malessere e di incapacità di comprendere la nostra essenza e ciò che vogliamo realmente.
Ho scoperto che il contatto fisico, se non siamo consapevoli, crea attaccamento, forse perché rimanda alle relazioni vissute nella prima infanzia, e che spesso ciò che si ricerca nel sesso opposto e un ritorno a quell’intimità, a quella condivisione. Bisogna fare attenzione a ciò che condividiamo e con chi lo condividiamo in modo da non creare false aspettative e desideri che verrebbero frustrati.
Ho scoperto che tra uomo e donna c’è sempre una sorta di tensione e che se la portiamo alla superficie e la osserviamo per quella che è, una tensione biologica, comprendiamo che non sempre è necessario viverla, anche se a volte c’è una connessione profonda, possiamo scegliere di trasformare quella tensione e di creare un legame più puro.
Ho scoperto che le intenzioni con cui ci muoviamo nel mondo e nei rapporti sono molto importanti, intenzioni pure generano un’esperienza pacifica e piacevole, intenzioni non pure possono portare ad esperienza sgradevoli.
Ho scoperto che mi capita di provare gelosia, paura, raramente rabbia, e che a partire da queste emozioni si genera una sorta di sentimento negativo che a volte diventa auto punitivo, come se mi imponessi di non sentire quell'emozione. In realtà è proprio questo che crea sofferenza. Si crea una catena di pensieri che mi porta alla negatività, al confronto e al cattivo umore. Ora ciò che cerco di fare quando una di queste emozioni appare dentro di me e semplicemente notarla senza giudicarla “c’è invidia, ok, c’è invidia”. Sono emozioni che fanno semplicemente parte della natura umana condizionata, non sono ciò che siamo realmente. Ci sono, punto, noi pero possiamo scegliere di non agirle. Se impariamo a riconoscerle e a interrompere la proliferazione mentale che si genera intorno ad esse, la consapevolezza ci aiuta a non intraprendere azioni negative.
Ho scoperto che bisogna cercare sempre di esprimersi in modo positivo e stare attenti a ciò che diciamo, a volte anche solo con lo scherzo possiamo ferire qualcuno. Non tutti sono pronti ad accettare alcune cose, c’è già abbastanza sofferenza, non c’è bisogno di crearne dell’altra inutilmente. E’ sempre bene cercare di parlare con amore e gentilezza riconoscendo e rispettando i limiti degli altri. L’amore genera amore.
Ho scoperto che se mi fermo e osservo c’è una sorta di sofferenza di fondo che accomuna tutti gli esseri umani. Mi viene in mente una frase che dice “l’illuminazione non consiste meramente nel vedere forme luminose e visioni, ma in rendere l’oscurità visibile”. Quando ho cominciato ad osservare ciò che accadeva dentro di me ho visto spesso sofferenza, confusione, paura, sentimenti negativi. Al tempo stesso ho avuto la sensazione che non fossero miei. Gran parte dei nostri sforzi sono tesi ad evitare questa sofferenza. Quando ho visto quella sofferenza di fondo ho avuto la sensazione che se la attraverso è meno spaventosa di ciò che penso e che quella è la chiave per iniziare ad essere liberi, smettere di evitare e lasciarsi attraversare.
Ho scoperto anche che “siamo tutti sulla stessa barca”, tutti alle prese con condizionamenti, paure, abitudini, carichi emozionali e che questo dovrebbe aiutarci a sentirci più uniti e ad avere più compassione e che non c’è bisogno di lottare gli uni contro gli altri o giudicarsi a vicenda, dietro ogni comportamento negativo c’è una ragione e spesso della sofferenza. “Solo chi soffre fa soffrire”, perso sia un principio da adottare quando giudichiamo qualcuno per ciò che fa e trasformare il giudizio in compassione.  Solo se giudichiamo e non perdoniamo noi stessi non riusciamo a farlo anche con gli altri.
Ho scoperto che non possiamo salvare nessuno che si causa sofferenza o che sta soffrendo per qualche ragione, ma che possiamo continuare a sentire amore e compassione, solo questo può essere davvero d’aiuto.
Ho scoperto che spesso siamo davvero duri con noi stessi, abbiamo degli standard che ci creiamo o che ci sono stati inculcati e che se non li raggiungiamo iniziamo a trattarci duramente. Bisogna imparare ad essere amorevoli, pazienti e gentili con noi stessi, a riconoscere i nostri limiti e abbracciarli, a non giudicarci, bisogna sapere che ci sono tanti modi diversi di esprimersi quante sono le persone e che bisogna scoprire il proprio, il “vestito” più adatto per noi, bisogna imparare ad accettare le cose così come sono e a fare il meglio che possiamo in ogni situazione, il nostro meglio, senza pretendere troppo da noi stessi.
Ho scoperto che la resistenza crea sofferenza. Quando resistiamo a ciò che la vita ci offre, alla realtà del momento,  quando non accettiamo ciò che non possiamo cambiare, quando non accettiamo la realtà così com'è, quando vogliamo che le cose siano diverse da come sono, soffriamo. E’ come se in un giorno di pioggia chiediamo al cielo di smettere di piovere. Se accettiamo la pioggia scopriamo che è solo acqua fresca e non c’è nulla di così drammatico nel lasciarsi bagnare. Siamo noi che giudichiamo il tempo come “buono” o “cattivo”, il tempo semplicemente è così com'è, sempre in continuo cambiamento, così come le emozioni. Anche sopra le nuvole più scure il cielo è sempre blu.
Ho scoperto che il confronto non ha senso, che quando inizio a confrontarmi si crea negatività nella mente, che gli oggetti del confronto non esistono, sono creazioni condizionate su come dovremmo essere, sull'arrivare ad essere qualcosa di diverso da ciò che siamo. Siamo stati addestrati a confrontarci, paragonarci, ad essere diversi da ciò che siamo invece che a vedere la propria unicità nell'essere, maneggiare e gestire la vita e i propri strumenti, nell'accettare ciò che è.
Ho scoperto che gran parte dei nostri comportamenti e reazioni sono solo abitudini e che gran parte del processo consiste nel disabituarsi e creare nuove abitudini migliori, più pure e sane, che questo può richiedere a volte disciplina, ma soprattutto consapevolezza di ciò che genera sofferenza a noi e agli altri.
Ho scoperto che la mente è come un’antenna che raccoglie informazioni e le processa costantemente, che spesso queste informazioni generano conflitto tra di loro e con la nostra natura più profonda. Tutto ciò che ci dice la mente non è reale, ma il semplice risultato della raccolta di queste informazioni mischiate a condizionamenti. Bisogna imparare a non credere nella mente e a fidarci di più del nostro intuito. La maggior parte delle volte non siamo minimamente consapevoli della moltitudine di stimoli e imput che riceviamo e di come questi ci spingano a desiderare cose che in realtà non desideriamo e ad agire in modi che non ci appartengono. Una cosa che ho trovato utile è quella di eliminare il maggior numero possibile di stimoli e distrazioni inutili e innaturali che sento mi svuotano invece di apportarmi, che mi fanno sentire stanca fisicamente e mentalmente, e di sostituirli con cose che mi riempiono, come una passeggiata nella natura, una lettura significativa, aprirmi e condividere profondamente con qualcuno, stare sola.
Ho scoperto che posso rilassarmi, perché in realtà non ho nessun controllo sulla mia vita ne su quella degli altri, che le cose vanno come devono andare. A volte mi costa fatica perché siamo così abituati ad agire, a modellare le cose a nostro piacimento, a cambiarle, a non accettarle, a seguire impulsi e desideri, spesso non nostri. Mi sono accorta che nei momenti in cui ho smesso di controllare e di volere o aspettarmi che le cose andassero in un certo modo, sono accadute cose incredibili o comunque ogni cosa finiva per essere perfetta in se stessa.

LA DANZA DELLA LIBERTA’ (Racconto breve)



Questa è la storia di una foglia. Una semplice e umile foglia, di modeste dimensioni, ma di un verde acceso, brillante, quasi smeraldo.
Era una foglia di un grande e maestoso albero, un albero sempre verde di una bellissima e selvaggia foresta. Le radici dell’albero erano enormi e sprofondavano in un terreno ai margini di un fiume, questo gli permetteva di crescere forte e rigoglioso.
Era un fiume dolce, ricco d’acqua in tutte le stagioni e che scorreva serenamente formando, in alcuni tratti, piccole cascate che rendevano il suo suono ora più soave, ora più deciso e intenso, ma sempre non invadente.
La primavera e l’estate il fiume dava sollievo con le sue acque fresche e limpide ai pochi avventurieri che si inoltravano nella foresta per apprezzarne la bellezza e la pace.
A volte le libellule si divertivano a volare sul fiume sfiorando l’acqua, i loro colori erano splendenti e brillanti e quando qualche raggio di sole penetrava tra le foglie e illuminava le loro ali si poteva assistere a uno spettacolo bellissimo.
La piccola foglia restava affascinata da quello spettacolo di colori, ma soprattutto era colpita dalla loro libertà di movimento, mentre lei per muoversi aveva bisogno del vento.
Erano amici, lei e il vento.
Le aveva insegnato una danza, così ogni volta che cominciava a soffiare lei prendeva a danzare seguendo il suo ritmo. A volte la faceva volare così in alto che doveva usare tutte le sue forze per rimanere attaccata all’albero, altre la danza era più lenta, quasi impercettibile.
Si sentiva in sintonia con tutti gli elementi. Ringraziava il sole ogni mattina per fornirle energia e nutrimento, il vento che la faceva danzare, la luna che ammirava in tutte le sue fasi, a volte, nelle notti di luna piena, la sua luce era così intensa da impedirle di dormire. Così, invece di arrabbiarsi come facevano spesso le altre foglie, prese ad osservarne lo splendore ammirando come quella luce argentata illuminava il paesaggio circostante.
Era una foglia dolce e gentile, piena di vita, la più giovane di tutto l’albero. Era allegra e solare, tutto per lei era un dono e si sentiva piena di gratitudine verso tutto ciò che la circondava: gli altri alberi, il dolce suono del fiume che la cullava la notte, la pioggia che la rinfrescava.
L’unica cosa che turbava a volte la giovane foglia era un senso di solitudine.
Si sentiva uguale, ma al tempo stesso diversa dalle foglie del suo albero le quali si lamentavano spesso, se usciva il sole erano insoddisfatte perché faceva troppo caldo, se era nuvoloso erano infelici perché avrebbero avuto meno nutrimento, si arrabbiavano con la luna e con il vento perché non rispondevano ai loro comandi, desideravano la pioggia ma quando arrivava non le piaceva sentirsi bagnate, non rispettavano i ritmi della natura, spesso stavano sveglie sino a notte inoltrata a far baldoria e poi se la prendevano con il sole per esser sorto troppo presto. La piccola foglia invece adorava addormentarsi un secondo dopo il tramonto e svegliarsi un secondo prima dell’alba per ammirarne lo spettacolo.
Insomma, le altre foglie volevano sempre qualcosa di diverso da ciò che la natura gentilmente gli offriva e questo le faceva soffrire perché non riuscivano ad apprezzare ed accettare ciò che avevano e, anche quando giungeva la loro ora, rimanevano attaccate con forza all’albero tanto da costringere il vento ad intervenire, non accettavano che tutto cambia costantemente, tutto si trasforma, così soffrivano.
Non erano foglie cattive, la loro essenza era pura, tutto ciò era dovuto a qualcosa che accadde all’albero, al fiume e alla foresta qualche tempo prima.
Un giorno, una normale e ordinaria giornata di primavera, a monte del fiume l’acqua cominciò a cambiare colore, ad essere così scura da sembrare quasi nera.
Una macchia scura avanzò sempre più rapidamente sino a raggiungere l’albero e, siccome pochi giorni prima una tempesta aveva distrutto un grande ramo che rendeva il fluire dell’acqua molto più lento, la macchia scura si fermò ai piedi dell’albero e le radici cominciarono ad assorbirla pensando che fosse un nuovo nutrimento. Non si sa se qualcuno avesse gettato qualcosa di nocivo nel fiume, ne da dove quella sostanza provenisse.
La sostanza lentamente cominciò a convincere l’albero di ciò che era giusto o sbagliato, di cosa fare e non fare, gli raccontò storie che la convinsero ad assorbirla.
L’albero si lasciò condizionare.
Neanche la sostanza era cattiva, lei era davvero convinta di essere un buon nutrimento per l’albero, forse qualcuno gli aveva detto così, ma da quel momento le foglie cambiarono smettendo di essere in armonia con la natura.
La piccola foglia, essendo la più giovane, nacque proprio quando la corrente, muovendo il ramo, fece fluire ciò che restava della sostanza e nell’alberò ricominciò a penetrare acqua limpida che lo purificò. Questo permise alla giovane foglia di non lasciarsi condizionare dalla sostanza e restare pura. Ma, ahimè, per il resto delle foglie l’unico rimedio per liberarsi da quella sofferenza e insoddisfazione che avvertivano era quello di staccarsi dall’albero e lasciarsi trasportare dal fiume.
Ma le foglie avevano paura, per loro staccarsi dall’albero significava morire, e loro erano terrorizzate dalla morte.
Ma non erano forse anche quella sofferenza e quell’insoddisfazione una forma di morte?
La giovane foglia, nonostante non avesse ricevuto i condizionamenti della sostanza, si lasciava influenzare, senza saperlo, dalle paure delle altre foglie. Tentava di convincersi che in fin dei conti andava bene così, non le mancava nulla, aveva nutrimento e riparo e l’amicizia del sole, della luna e degli elementi.
Ma non si sentiva libera e, qualcosa dentro di sé, le diceva che c’era una strada che avrebbe potuto liberarla e che avrebbe incontrato altri amici con cui condividere ciò che sentiva, doveva però richiamare all’appello tutto il suo coraggio e staccarsi dall’albero, sentiva che quello era il primo passo.
Quando provava a dire alle altre foglie ciò che sentiva queste gli rispondevano “sciocchezze, questo è il modo corretto di vivere, se salterai morirai!”, e continuavano nella loro sofferenza o a distrarsi per non accorgersi di soffrire. La fogliolina si lasciava prendere così dal timore.
Ogni giorno guardava il fiume scorrere dolcemente e si sentiva chiamare, in alcuni momenti era determinata a saltare, in altri insicura. Decise di confidare al vento il suo tormento, il quale le disse “ti aiuterò affinché tu possa scoprire la vera libertà!”.
Una notte le altre foglie fecero più baldoria del solito e la piccola fogliolina si sentiva sempre più agitata, era giunto il momento. Quando tutti si addormentarono lei rimase sveglia ad aspettare l’alba e, quando i primi raggi di sole cominciarono a spuntare, il suo cuore si riempì di pace. Allo stesso modo in cui la luce del sole illuminava il nuovo giorno, così il suo amore si espandeva.
Guardò con amore e dolcezza tutte le altre foglie e il suo albero e cominciò a staccarsi dolcemente. L’albero si accorse di ciò che stava avvenendo e cominciò a piangere, ma al tempo stesso sapeva che quello era l’unico modo per la fogliolina di essere libera, le diede così la sua benedizione.
Quando mancava pochissimo affinché la fogliolina si staccasse completamente si presentò nella sua mente un piccolo dubbio “e se stessi sbagliando? E se non fosse questo il cammino corretto?”. Immediatamente si rese conto che non era reale, era la paura, ma la voce del suo cuore era più forte, così per non lasciarsi sopraffare dal dubbio smise di ascoltarlo, non gli diede attenzione e invocò il vento che soffiò con tutta la sua forza e le sussurrò “non aver paura a lasciar andare …”.  La fogliolina sorrise e si staccò.
Con una nuova danza, la danza della libertà, il vento l’accompagnò dolcemente nel suo cadere fin quando toccò l’acqua del fiume. Alcune foglie si svegliarono e lanciarono grida di supporto ripromettendosi che anche loro avrebbero trovato il coraggio di staccarsi.
L’acqua del fiume era fredda e aveva una consistenza diversa da quella della pioggia. La fogliolina si sorprese di essere ancora viva e, felice di quella libertà, si lasciò trasportare dalla corrente.
Il fiume fu dolce e gentile con lei e le insegnò a fluire. Le insegnò a non opporsi alla corrente della vita e a comprendere che ogni situazione può essere un insegnamento e un’opportunità, tutto dipende da come si sceglie di viverla. Ad esempio, la sostanza scura che era penetrata nel suo albero, quella diversità che percepiva, era stata per lei un’opportunità per liberarsi, per imparare nuove cose e scoprire se stessa.
La fogliolina era riuscita a trasformare la sofferenza del sentirsi diversa e sola, in un dono. Ed era vero, una parte di sé era morta, erano morte le sue paure e i suoi condizionamenti, i suoi attaccamenti, ed era necessario che morisse quella parte affinché la fogliolina potesse rinascere per ciò che davvero era.
Il colore della fogliolina cominciò lentamente a cambiare sino a diventare di un dolce giallo non troppo acceso, era incuriosita da quei cambiamenti e li osservava con serena accettazione, per lei erano come un riflesso di ciò che le accadeva dentro e lo accoglieva con entusiasmo.
Un giorno in cui si sentiva stanca, il fiume decise di fare un balzo e posarla su una grande pietra per permetterle di riposare.
La fogliolina e la pietra fecero subito amicizia.
La pietra le insegnò la pazienza, le spiegò che ci sono momenti in cui è necessario fermarsi e lasciare che la vita faccia il suo corso, ci sono momenti per andare ed altri per restare, momenti per imparare ed altri per assorbire ciò che si è imparato. Le insegnò che a volte è necessario rimanere immobili e riposare in se stessi e a non aver paura a guardarsi dentro.  
La fogliolina si accorse che dentro di sé esisteva un mondo che non conosceva. Restava così immobile e serena, a volte divertendosi ad osservare i pensieri come se fossero nubi che il vento muoveva. La pietra le insegnò a non dare troppa importanza a quelle nubi perché così come arrivavano, sarebbero andate via.
Grazie a questo allenamento imparò a stare attenta a ciò che accadeva in ogni momento nella realtà che stava sperimentando senza lasciarsi trasportare dal pensiero in situazioni lontane da quella che stava vivendo o farsi sopraffare dalla tristezza e nostalgia che a volte sorgevano, sapeva che sarebbero passate.
Imparò così ad apprezzare più intensamente  il suono del fiume, ad accorgersi dei suoi piccoli balzi, il canto degli uccellini, soprattutto al mattino presto quando era particolarmente intenso, riusciva a coglierne tutte le sfumature, si accorgeva anche dei pesci così silenziosi che passavano sott’acqua e che le libellule che sempre ammirava quando era sull’albero, producevano un suono, una specie di ronzio quando si incontravano. Imparò così ad affidarsi a ciò che sperimentava e viveva intensamente ogni momento perché la sua attenzione era sempre presente.
Il salto dall’albero era stato solo l’inizio, ora quella pratica le era necessaria.
Arrivò così il giorno in cui giunse a scoprire la sua reale essenza, non sentì più una distinzione tra sé e la pietra e il fiume e il cielo, tutto era parte di lei.
Ringraziò la pietra e decise che era arrivato il momento di tornare a fluire.
Allo stesso tempo riapparse il vento. La fogliolina era felice di vederlo, ogni volta che aveva bisogno di fare un passo nel suo cammino di crescita lui ricompariva per sostenerla e incoraggiarla. Prese così a soffiare e lei danzò sino a ricadere in acqua. Il fiume l’accolse con gioia.
Lungo il cammino incontrò altre foglioline che, come lei, avevano fatto il salto. Fu in quel momento che il suo cammino diventò una gioiosa condivisione. Si lasciavano trasportare dal fiume e, passando dove era passata anche la sostanza scura, incoraggiavano le altre foglie a staccarsi.
Giunsero un giorno ai piedi di un maestoso albero e decisero di trascorrere li gli ultimi giorni. La fogliolina sapeva che tutto nasce e muore, l’aveva imparato dal sole che sorge e tramonta ogni giorno, dalla luna che era ora più piccola, ora più grande, dalle giornate limpide e quelle nuvolose, dal fiume che continua a scorrere, dalla pietra, dal vento e dalla terra, tutto cambiava, ma allo stesso tempo l’essenza di tutte quelle cose era sempre presente.
Era serena, certa di aver vissuto secondo il suo essere profondo, certa di aver scoperto la libertà e che ora il suo essere poteva essere da nutrimento a quell’albero ai piedi del quale si era posata.
E fu nel momento in cui si spense che l’albero cominciò a brillare, la luce era così intensa da illuminare l’intera foresta. Era quella la luce della consapevolezza.
L’albero da cui la fogliolina era saltata comprese e il suo cuore si riempì di pace, le foglie saltarono con un grido di libertà e nuove foglioline pure ripresero a nascere. 


IL VERO POTERE

Appunto di una frase presa dal libro "Peace Pilgrim" (www.peacepilgrim.com) 

"Abbiamo molto più potere quando lavoriamo per la cosa giusta che quando lavoriamo contro la cosa sbagliata."


"Tenemos mucho más poder cuando trabajamos por la cosa justa que cuando trabajamos en contra de la cosa equivocada."