ATTI DI FIDUCIA -Viaggi in Autostop-




In un mondo in cui vengono sempre più promossi e pubblicizzati i fatti negativi, in cui viene trasmesso un messaggio che spinge a vedere il mondo come un luogo oscuro e totalmente cattivo e pericoloso, pur riconoscendo e considerando la follia dell’uomo che nell'inconsapevolezza diventa capace di generare morte e distruzione, è importante continuare a praticare la fiducia.

Bisogna riconoscere che nessuno in realtà è “cattivo” e in ognuno di noi c’è un seme di spiritualità
Questo non vuol dire che non ci siano persone che commettono atti negativi o danneggino gli altri e che non bisogni farglielo notare. Ma possiamo imparare a farlo con amore, riconoscendo che non è mai la reale essenza della persona a fare danno, ad essere “cattiva”, se non l'ignoranza, il non sapere o essere capaci di agire in modo diverso, i condizionamenti, le paure, le emozioni negative, la sofferenza non riconosciuta, accettata, vissuta e lasciata andare che spesso si accumula nel cuore umano. 
Spesso è proprio chi soffre che fa del male anche agli altri e attribuire alla persona in se la caratteristica di “cattiva” è limitante dell’essere umano. 
Se riusciamo ad andare oltre questa caratteristica della personalità, non della persona, frutto di circostanze, se riusciamo a perdonare e vedere in ognuno quel seme di spiritualità e bontà, gentilezza e dolcezza, aiutiamo anche l’altra persona a vederlo. 
Spesso noi stessi non siamo capaci di vedere la nostra luce e abbiamo bisogno di qualcuno che ce la ricordi.

Vorrei citare, raccontare, alcune delle esperienze vissute direttamente in questi anni che mi hanno confermato che quella luce esiste, e più siamo capaci di vederla più le permettiamo di risplendere. 
L’idea è quella di riportare un po’ di fiducia e ricordare che se iniziamo ad andare oltre le apparenze, i pregiudizi e gli schemi mentali e a guardare con gli occhi puri e con amore, un nuovo mondo si apre davanti a noi. Se guardiamo con fiducia aiutiamo anche l’altra persona ad avere fiducia nelle sue buone qualità e gli permettiamo di riconoscerle e coltivarle. Perché in realtà tutto dipende da ciò che scegliamo di coltivare, il problema è che spesso la nostra scelta non è consapevole perché non conosciamo quali alternative abbiamo, non sappiamo che si può agire, vivere e muoversi nel mondo in maniera diversa da quella che abbiamo appreso o che pensiamo essere quella giusta.

Ho iniziato a chiamare ATTI DI FIDUCIA alcune esperienze e momenti in cui mi sono affidata completamente alla vita e a quelle sagge forze dell’universo che sempre ci danno ciò che è meglio e necessario per noi in un certo momento.
Sono consapevole dei rischi che a volte posso correre e non vado oltre certi limiti e ho imparato a riconoscere i segnali del mio corpo e quelli della vita. Ma qualora superassi dei limiti o accada qualcosa, son pronta ad accettarne le conseguenze come qualcosa di utile e necessario alla mia crescita ed evoluzione.

Per diversi anni ho vissuto lungo il cammino di Santiago, frequentato e per certi periodi vissuto in centri di meditazione e monasteri buddhisti, che sono comunque realtà specifiche e protette e ho avuto la possibilità di coltivare questa fiducia. Fiducia nella vita, nelle leggi dell’universo, in me stessa e nella gente. Ognuno, o almeno la maggior parte, c’è sempre chi ha barriere e condizionamenti più rigidi e solidi, si rivelava una persona disponibile, pronta ad aiutare gli altri, aperta, capace di andare oltre le paure, di scoprire il lato più profondo di se stesso e della vita. Le cose si muovono in un clima di maggiore amore, consapevolezza, disponibilità. Questo mi ha confermato l’influenza del contesto e quanto siano importanti certe esperienze fuori dai contesti usuali per riscoprirci, riscoprire quegli aspetti che abbiamo dimenticato.
In realtà tutto è parte di tutto, non si può praticare qualcosa nel piccolo senza poi estenderla al grande. La mia necessità divenne quella di estendere a contesti più grandi ciò che avevo praticato nei vari contesti più piccoli. 

Quella che noi consideriamo famiglia non è altro una versione più piccola, ridotta, di quello che può essere il mondo quando ci apriamo agli altri. 
Quello che noi consideriamo amore verso un partner, una persona cara, un figlio, non è altro che la canalizzazione di qualcosa che può essere infinitamente più grande e che può essere esteso a tutte le creature. 
Quella che noi chiamiamo casa, terra natia, non è altro che uno scorcio di mondo. 
Ogni posto può diventare casa, ogni incontro e scambio profondo può essere famiglia, ogni persona, ogni essere merita il nostro amore.

Il cammino di Santiago, i monasteri e i centri di meditazione furono per me una versione più estesa della famiglia, della casa e che mi permise di praticare l’amore incondizionato.  
Poi l’esigenza fu quella di estenderla ancora di più così cominciai con l’autostop. 
Sino ad arrivare al punto in cui non c’è più nessuna separazione tra posti, persone, situazioni e la fiducia, l’amore e l’apertura restano una costante sempre presente e che si pratica ovunque.


VIAGGI IN AUTOSTOP

In un certo momento, quando vivevo lungo cammino, sentii l’esigenza di portare ciò che avevo vissuto sul cammino, quello spirito che avevo li ritrovato, anche fuori.
Iniziai sentendo l’impulso di viaggiare in autostop. Ovviamente avevo paura di farlo da sola. I miei rigidi condizionamenti e le paure mi bloccavano. Ma mi rispettai senza forzarmi troppo, consapevole che ogni cosa è un processo che inizia con una presa di coscienza e che quando mettiamo un’intenzione nell'universo, ad un certo punto, quando siamo pronti, le cose si allineano affinché facciamo ciò che dobbiamo fare senza uno sforzo reale. Dobbiamo solo riconoscere e guardare in faccia le nostre paure. E così fu.

Dapprima mi capitò di fare l’autostop in compagnia, come una sorta di preparazione. 
Con un amico finimmo da Santiago de Compostela, in Spagna, a Porto, in Portogallo, quasi senza volerlo. Fu un’esperienza bellissima. Trovammo un uomo che, nonostante l’apparenza rude, si rivelò gentilissimo e si prese cura di noi con l’amore di un padre. Anche nel viaggio in Portogallo incontrammo gente gentile e disponibile.
Mi capitò poi un giorno di trovarmi da sola alla fermata di un bus per andare in un posto un po’ isolato in cui l’unico mezzo era proprio quel bus. Mentre aspettavo, una parte di me mi spronava e forzava a superare le mie paure e fare l’autostop. Mi sentivo tesa e indecisa, finché una voce più saggia emerse dal profondo di me stessa e mi disse “non preoccuparti, se devi fare qualcosa la vita ti metterà nelle condizioni per farlo, tu devi solo accettare”. Così mi rassicurai smettendo di essere così dura con me stessa. 
E infatti l’autobus non passò e non mi rimase che fare l’autostop. Neanche a dirlo, andò benissimo. Fu la prima esperienza, breve, che feci da sola.


LA RESA

Non passò molto tempo che mi ritrovai in una situazione in cui dovevo percorrere una distanza più lunga. 
Si crearono delle circostanze in cui sentii una resa totale alla volontà della vita, in cui non mi interessava se vivere o morire, e fare l’autostop diventò un modo, in quel momento, per superare le mie paure e aver fiducia nella vita. Si convertì in una sorta di pratica spirituale, un po’ come estendere il cammino di Santiago anche fuori dal contesto protetto del cammino e dimostrare che potevo incontrare la disponibilità e bontà della gente ovunque, se solo io ero capace di vederla. 
E non perché l’autostop sia qualcosa di così speciale o così fuori dal comune, ma semplicemente fu quella la chiamata interiore che ricevetti in quel momento, fu quello lo strumento che mi diede la vita per superare alcune paure e limiti, considerati i miei condizionamenti, la mia storia di vita e il punto di partenza da cui ho iniziato a fare i miei cambiamenti. 

Ognuno di noi dovrebbe considerare da dove è partito ed evitare di confrontarsi, al massimo possiamo prendere qualcun altro come esempio che ci aiuta a sviluppare qualche caratteristica che può essere buona per noi e per gli altri. Ma per evitare di essere duri con se stessi e forzarsi troppo, bisogna tenere in considerazione che ciò che per qualcuno può essere uno sforzo grande, per qualcun altro può essere una passeggiata e viceversa. 
Bisogna rispettarsi e spesso semplicemente prendere consapevolezza di quali sono i nostri limiti e mettere in circolo nell'universo l’intenzione e la reale volontà di superarli. Poi la vita ci darà strumenti e situazioni di cui abbiamo bisogno.

Mi capita ancora di usare l’autostop come pratica e come mezzo di spostamento, soprattutto quando sento di voler rinfrescare quel senso di fiducia e quella sensazione di resa totale dato che le resistenze tornano sempre a farsi sentire, oltre ad essere una possibilità per condividere e andare incontro alla gente, dare una sorta di messaggio.

ALCUNE ESPERIENZE IN AUTOSTOP

La mia gratitudine va a tutti coloro che mi hanno “raccattata” per strada, aiutata, accolta, offerto da mangiare e ospitata, o anche a coloro che mi hanno fatto un cenno gentile, un sorriso, mi hanno dato un’informazione o si sono scusati per non potersi fermare. La mia gratitudine va anche a coloro che mi hanno guardata male o ignorata perché hanno permesso che le cose andassero così come dovevano andare. Bisogna rispettare e riconoscere non solo i propri limiti, paure e condizionamenti, ma anche quelli altrui.
Tutti, o almeno la maggior parte, di coloro che ho incontrato sono sempre stati gentili e disponibili, ovviamente con ognuno ho condiviso più o meno intensamente, ma quasi tutti si sono preoccupati di dove lasciarmi a fine corsa, di scegliere un buon posto, in molti hanno allungato o cambiato il loro percorso per lasciarmi dove dovevo andare o in un buon posto per continuare a fare l'autostop e ognuno, a modo suo, ha contribuito al mio cammino e percorso interiore.

Tutto questo non vuole essere un incoraggiamento a fare l’autostop. Questo è ciò che io ho sentito di fare in un dato momento, è stata ed è ancora in alcuni casi la mia pratica. Più che altro ciò vuole essere un incoraggiamento a coltivare quel senso di fiducia nella vita e negli altri, quella positività e a superare le nostre paure quando dentro di noi sentiamo di voler far qualcosa. E’ una pratica che può richiedere una vita, una sorta di processo di de-condizionamento e purificazione, ma ci permette di avere un cammino più allineato al nostro essere.

Citerò alcune delle esperienze più intense senza nulla togliere alle altre, ma solo perché sono quelle che vengono alla mente e possono essere trascritte con più semplicità.


SANTIAGO-PORTO: IL MURATORE CON IL SOGNO DI VIAGGIARE

Fu il primo lungo viaggio in autostop. Ero con un amico in un paesino non lontano da Santiago de Compostela. La nostra intenzione era tornare a Santiago in autostop. Non si trattava in realtà di una zona molto trafficata e le poche macchine che passavano non si fermavano. Percorremmo così lunghi tratti camminando. Fin quando, fermi in un piazzale ormai con la certezza di non trovare nessun passaggio, si fermò un furgoncino con tre uomini con abiti sporchi da lavoro e l’aspetto rude. Il conducente ci disse che si dirigevano in un paesino vicino Porto.
Nei giorni precedenti mi era balenata per la mente l’idea di andare in Portogallo, ma l’avevo poi scartata. Guardai il mio amico e dissi “Perché no? Andiamo a Porto!”. Così ci imbarcammo sul furgoncino.
L’uomo che guidava sembrava molto interessato alla nostra storia e ci fece diverse domande. Ci teneva a scambiare il numero di telefono e all’arrivo ci disse che ci avrebbe chiamati in tardo pomeriggio e che se non avessimo trovato un posto dove passare la notte ci avrebbe aiutati.
Il tardo pomeriggio arrivò e non trovammo nessun posto dove dormire. Aspettammo la chiamata dell’uomo che ci aveva accompagnati, ma non si fece vivo.
Ovviamente pensai che non fosse stato così onesto.
Abbiamo sempre la tendenza a pensare negativamente quando le cose non vanno come vorremmo. Una parte di noi, quella più emotiva, reagisce alla situazione fabbricando storie non reali.

Pensieri negativi o meno, restava però il fatto che non sapevamo dove passare la notte. Non che fosse qualcosa di drammatico, anzi ora lo vedo come un’opportunità per sorprendermi, adattarmi e accogliere ciò che la vita mi offre. Ora riesco a vedere le origini primordiali di questa paura radicata di non avere un “riparo”, ma in quel momento restava qualcosa da risolvere.
Senza andare nel panico cominciammo a camminare per il paese in cerca di qualcosa, di un “segnale”. Finché non passammo vicino ad una chiesa e il mio amico decise di entrare. Io lo aspettai fuori. Uscì poco dopo in compagnia di un signore a cui mi presentò e che subito ci accompagnò tra le strade del paese sino ad una casetta che ci venne messa a disposizione per passare la notte. Era incredibile come dal nulla la vita ci aveva fornito una soluzione.

L’indomani decidemmo di andare a Porto in autostop e ci avviammo verso l’uscita del paese. Tentammo un po’, ma nessuno ci dava l’idea di essere intenzionato a fermarsi. Mentre aspettavamo un po’ scoraggiati ricevetti una chiamata. Era l’uomo che ci aveva portati sin lì il giorno anteriore. Ci chiese dove fossimo e ci disse di aspettarlo li. Quando venne si scusò e ci raccontò che era stato sino alle tre del mattino in ospedale perché suo figlio era caduto battendo la testa. Ciò nonostante, una volta appurato che il figlio stesse bene, pensò a noi. Non solo venne a prenderci alle nove del mattino dopo una notte insonne, ma ci portò a Porto e ci offrì la colazione. 
Dopo averci salutati quasi commosso ci disse che avrebbe sempre voluto fare ciò che noi stavamo facendo, viaggiare il libertà. Sentii una grande tenerezza e gratitudine verso quell’uomo dall’aspetto rude e il cuore grande.

BARCELLONA-GENOVA: UN VIAGGIO IN ECUADOR

Per uscire da Barcellona senza troppa confusione presi un treno per Figueres, al confine con la Francia.
Alla stazione trovai subito un passaggio per una rotonda che mi mettesse in direzione Francia. Fu il posto in cui aspettai più a lungo. C’era un altro ragazzo, in un’altra direzione della stessa rotonda, che mi disse di essere lì da ore. Non era incoraggiante.
Se da un lato nel cielo c’era un sole splendente, dall’altro si faceva sempre più grigio, sembrava si prospettasse l’arrivo di un temporale. Ero sola, in mezzo ad una rotonda, senza nulla nelle vicinanze dove potermi riparare. Duro test di pazienza. Cominciai a diventare nervosa sino a disperarmi.
Le uniche macchine che si fermarono andavano in direzioni diverse, alcune verso Barcellona, tanto da farmi pensare che non fosse esattamente un buon posto. Si fermò ad un certo punto un ragazzo che andava a Barcellona. Viste le circostanza pensai che non mi rimaneva altra scelta che tornare indietro e trovare da lì un’altra soluzione.
Mi arresi.

Ed è proprio quando ti arrendi, quando lasci andare ogni attaccamento a come vorresti che andassero le cose, quando ti arrendi a non avere il controllo, è proprio lì che la vita si manifesta e ti sorprende. C’è un grande potere nel lasciare andare, nell’arrendersi a ciò che è in quel momento, a ciò che possiamo e non possiamo fare, cambiare, controllare.

Raccontai al ragazzo la mia storia e, mentre eravamo in viaggio sull’autostrada mi segnalò una stazione di servizio in direzione opposta alla nostra che, a suo parere, era un buon posto per fare l’autostop. Gli ricordai che stavamo viaggiando nell’altro senso quando lui si offrì di fare inversione e portarmi li. Non avevo molto tempo per meditare su che decisione prendere e d’istinto accettai. Mi rimisi così in strada.
Dopo poco più di mezz’ora di tentativi andati male e con la pazienza ancora più limitata di prima, mi arresi nuovamente. Decisi di entrare nella stazione di servizio e chiedere a qualcuno che lavorava li se potesse darmi un passaggio per la stazione più vicina. 
Proprio mentre aspettavo alla cassa sentii accanto a me un uomo parlare spagnolo con un marcato accento italiano. Era un camionista. Gli chiesi subito se era italiano e alla sua risposta affermativa gli chiesi se potesse portarmi in Italia. Mi lasciò qualche minuto in sospeso, infine accettò.
Fu gentilissimo, dormii nel camion in uno dei due letti a castello, sentendomi protetta come a casa.
Arrivati a Ventimiglia ci salutammo e ripresi il mio viaggio sola.
Mi fermai sulla spiaggia di prima mattina ascoltando il rumore del mare e i suggerimenti della mia guida interiore. Decisi che avrei attraversato la costiera ligure lungo la statale.
Cambiai su per giù una decina di macchine, il mio viaggio si convertì in alcune brevi sedute psicologiche. Tutti sentono l’esigenza di aprirsi, di condividere quel seme di spiritualità, quella profondità che spesso ci si dimentica di possedere. Non è che non siamo profondi, saggi e pieni di luce, è che non ce lo ricordiamo.
Non ero molto lontana da Genova che un ragazzo mi lasciò all'imbocco dell’autostrada suggerendomi che da lì sarebbe stato più semplice proseguire.
Si fermò un ragazzo dell’Ecuador dicendomi che mi aveva vista prima passando con il furgone del lavoro e che si era ripromesso che se mi avesse trovata ancora li mentre rientrava a casa, mi avrebbe dato un passaggio. Così fu.
Cominciammo in auto un profondo scambio in spagnolo. Fu davvero intenso. Alla fine lo sentii così pieno di vita. Mi lasciò alla stazione suggerendomi di prendere un treno visto l’orario e mi chiese il numero di telefono perché disse che gli avrebbe fatto piacere potersi condividere ancora. Glielo diedi.
Mentre aspettavo il treno accesi il telefono che spesso tengo spento. Appena acceso ricevetti una chiamata dal ragazzo ecuadoriano. Mi disse di esser tornato a casa e aver parlato con la moglie e che volevano invitarmi a casa loro. Ovviamente accettai.
Mi trattarono come un’ospite d’onore. Parlammo a lungo e cenammo insieme una tipica cena della loro terra. Giocai un po’ con la loro dolce bambina e andai a riposare.
L’indomani la ragazza volle a tutti i costi che scegliessi tra una delle sue maglie e la prendessi con me. Non ne avevo bisogno, ma sentii così tanto in lei questa sincera voglia di dare, senza rendersi conto che già mi avevano dato tantissimo. Accettai pensando che a mia volta avrei potuto darla a qualcun altro. Mi accompagnò sul lungo mare in direzione Genova, la ringraziai e mi rimisi in viaggio.
All’entrata di Genova un uomo mi accompagnò da una parte all’altra della città lasciandomi in una zona bellissima. Durante il tragitto, senza che dicessi nulla, si fermò per comprarmi ben cinque pezzi di focaccia e una bottiglietta d’acqua.  Passai il resto della giornata passeggiando in un piccolo parco sul mare aspettando un’amica che mi avrebbe ospitata e con un senso di gratitudine nel cuore.


FRANCIA: L’UOMO CON I DENTI ROVINATI

Era tutto il giorno che facevo l’autostop e una coppia polacca mi aveva appena lasciata in una stazione di servizio. Decisi di riposare un po’ prima di riprendere. Mi sedetti su una panchina in una piccola area verde per mangiare dei biscotti. Non passarono nemmeno un paio di minuti che passò un uomo e mi chiese se volevo un passaggio. Lo zaino era un segno visibile del fatto che stessi facendo l’autostop. D’istinto accettai.
Salii sul furgoncino e, dopo essermi assestata, nel guardare meglio l’uomo che mi stava accompagnando, mi resi conto che aveva i denti rovinati tipici delle persone che usano droghe. Chiaro che potessero esserci anche altri motivi, ma la tendenza che abbiamo a pensare negativamente portò una parte di me a spaventarsi un po’. Ma subito mi rilassai affidandomi totalmente a ciò che stava accadendo nel momento presente, entrai in uno stato di vigile presenza che mi permise di valutare la situazione per quello che era, per ciò che stavo vivendo, non secondo uno schema mentale dettato dalla paura.
Non parlava altre lingue oltre il francese, così cercai di comunicare con lui come meglio potevo nel mio francese stentato. Gli raccontai un po’ della mia vita e penso che lui capì che fossi una sorta di monaca laica che viveva in un centro di meditazione dove la gente non poteva toccarsi. Non contraddissi molto la sua interpretazione anche perché non ne avevo gli strumenti. Si fece un’idea tutta sua e mi chiese cosa fosse la vita senza alcool, fumo, droghe e sesso. Dopo un piccolo momento di tensione in cui mi resi conto di quanto questi aspetti fossero predominanti nella sua vita, ritornai alla presenza e gli risposi che in realtà ciò che contava non era ciò che facesse, ma che questo non danneggiasse se stesso e gli altri, e spostai la conversazione su quali fossero le cose che avevano davvero valore nella sua vita. Cominciò a parlarmi di suo figlio e del suo rapporto con lui. Lo cresceva da solo in quanto la madre lo aveva abbandonato. Emerse il suo lato dolce di padre affettuoso ed io lo sostenni e incoraggiai in questo aspetto.
Si preoccupò di dove lasciarmi scegliendo un buon posto e mi chiese se poteva darmi una mano per salutarmi. Fu dolcissimo e gentilissimo. Lo ringraziai con una forte stretta di mano e proseguii il mio viaggio.

NIZZA-GENOVA: UNA STANZA TUTTA PER ME

A volte mi capita di sentire l’esigenza di qualcosa e di esprimere dentro di me una sorta di richiesta alla vita e lasciarla lì, nelle sue mani, senza attaccamento o il desiderio che venga realizzata, ma avendo fiducia che ciò di cui abbiamo realmente bisogno sempre giunge a noi (spesso anche più di ciò di cui abbiamo bisogno!), anche se a volte non nella forma che ci aspettiamo o crediamo di volere, ma di certo nella forma più giusta e possibile in un dato momento. Bisogna solo essere disposti ad accoglierlo.  Spesso la vita è più saggia di noi.

Fare l’autostop comporta spesso continui scambi con le persone e situazioni che possono essere stancanti.
Stavo tornando dalla Francia all’Italia e avevo passato tutta la giornata in strada cambiando diverse auto. Ad un certo punto pensai che sarebbe stato piacevole poter riposare e dormire in un posto da sola, senza dover dar conto a nessuno. Formulai, quasi senza rendermene conto, una richiesta interiore e me ne dimenticai. 

Mi trovavo in una stazione di servizio nei pressi di Nizza ed era già tardo pomeriggio. Ero in piedi vicino all’uscita per imboccare l’autostrada e, vedendo un furgoncino con due ragazzi, non alzai nemmeno il braccio per fare l’autostop. Di solito evito le situazioni in cui ci sono più uomini. Ma il ragazzo si fermò e mi chiese, in italiano, dove andavo.
Dovevo arrivare in un piccolo paese tra Toscana ed Emila Romagna, ma vista l’ora sapevo che sarei riuscita al massimo a raggiungere Genova. Si offrì di portarmi sino a Ventimiglia, così accettai.
L’altro ragazzo scese dal furgone per prendere lo zaino e metterlo nello scompartimento sul retro. Non disse una parola quasi intimidito dalla mia presenza. Gli dissi qualcosa, ma non rispose. Salii sul furgone e l’altro ragazzo mi fece qualche domanda.
Dall’accento subito capii che era straniero anche se si era presentato con un nome italiano e, avendo cari amici di origine rumena, mi resi conto che proveniva da li. Visti i tanti pregiudizi sulla gente straniera pensai che volessero camuffare la loro nazionalità per non spaventarmi. Magari una ragazza sola non sarebbe salita in auto con due rumeni. Così gli chiesi di dove fossero rassicurandoli sul fatto che non avevo pregiudizi perché mi affidavo all’esperienza diretta e diverse volte nella mia vita avevo stretto rapporti profondi e ricevuto sostegno da persone di nazionalità diversa dalla mia, in particolare da persone rumene. Poco conta in realtà quale sia la nazionalità. Quella al massimo può creare distinzioni culturali superficiali, ma non nell’essenza della persona.
Non parlammo molto durante il viaggio perché, oltre al fatto che uno dei due ragazzi, stando lì da poco, non aveva ancora imparato bene l’italiano, io ero davvero molto stanca. Così apprezzai il silenzio.
La stanchezza mi permise di lasciar andare quel “senso di dovere” per cui c’è l’idea che se ci viene offerta qualcosa dobbiamo dare qualcosa in cambio, quando a volte il solo permettere a qualcuno di aiutarci è un modo per ricambiare. Spesso la gente ha voglia di dare, di essere d’aiuto e permetterglielo è già di per se un dono.
Non mi sono mai sentita forzata a intrattenere una conversazione, ma mi è sì capitato a volte di sentire una sorta di “dovere” ad essere almeno di compagnia. Ma mi accorgo sempre di più che la sola essenza e presenza realmente presente e consapevole è spesso già di per se più che abbastanza e che basta essere semplicemente. E quell’esperienza fu un insegnamento.

Appoggiai la testa al finestrino e rimasi lì nella stanchezza e nella resa del semplice essere.
Superammo Ventimiglia e il ragazzo mi disse che mi avrebbe portata sino a Genova. Lo ringraziai e continuai nel silenzio.
Era tardo pomeriggio e cominciò a diventare buio. Dissi al ragazzo che preferivo che mi lasciasse in una stazione di servizio prima di entrare nella città perché mi sentivo più sicura a passar lì la notte che in una città. Non mi sembrava d’accordo. Mi diede il suo iPad dicendomi di provare a cercare un ostello, ma si spense subito dopo perchè aveva la batteria scarica. Gli ribadii che per me non c’erano problemi e che preferivo così, ma sembrò non ascoltarmi.
Eravamo molto vicini a Genova e non dava segni di fermarsi in una stazione di servizio. Fu lì che mi arresi.
Ero talmente stanca che sentii una sorta di distacco dal mio corpo e da ciò che io volevo fare, dalla necessità di controllare la situazione, in quel momento non mi interessava più. Lo vidi imboccare l’entrata della città e sentii che se avesse voluto farmi qualcosa di male o chissà che, non mi importava, lasciai andare ogni attaccamento e con la resa venne una sorta di senso di pace. Ero troppo stanca per qualsiasi reazione. Mi affidai alla vita sentendo che non avevo altra scelta.
Si fermò in una strada, fece scendere l’amico e continuò a girare tra le strade della città. Si fermò davanti ad un Hotel e scese, mi disse di scendere con lui. Chiese per una stanza, ma era tutto pieno. Così cercò ancora. Cominciai a dirgli di no, che non avevo bisogno di un Hotel, ma lui sembrava non ascoltare. Entrò in un altro e gli dissero che c’era una sola stanza matrimoniale libera e che quindi costava di più. Continuai a dirgli di no, di lasciar stare, ma lui mise i soldi sul bancone e pagò la stanza. Uscimmo fuori per prendere lo zaino nel furgoncino.
Mi fermai davanti a lui in un misto di stupore e incredulità e lo abbracciai. I suoi occhi erano cambiati, non era più il ragazzo che in quei pochi scambi verbali che avevamo avuto durante il viaggio sembrava interessato al divertimento, le uscite serali e i soldi, ma era un uomo gentile e premuroso, vedevo la profondità e dolcezza dei suoi occhi, vedevo l’apertura del suo cuore a dare senza aspettarsi nulla in cambio.
Quando lo abbracciai ebbi la sensazione che non avesse mai condiviso quel gesto fisico con una donna in maniera pura e disinteressata, un abbraccio di gratitudine. Esitò un piccolo momento prima di lasciarsi andare ad accogliere, accettare e ricambiare quell’abbraccio. Lo guardai nei suoi occhi che erano diventati lucidi e gli dissi di non sapere come ringraziarlo. Lui mi rispose che non dovevo passare la notte fuori, che avevo bisogno di riposare e che l’indomani avrei dovuto visitare la città che a suo parere era bellissima.
Lo abbracciai continuando a ringraziarlo e ci separammo.
Quando alla reception aveva chiesto per una stanza, ebbi la sensazione che il receptionist aveva avuto dei pregiudizi oltre ad aver frainteso la situazione, così andai da lui e gli raccontai ciò che era accaduto. Il racconto di un’esperienza positiva è un grande antidoto ad un pregiudizio o una paura.
Poi salii in camera. Appena mi rilassai dalla tensione e l’energia del momento vissuto cominciai a piangere di gratitudine. Sentivo gratitudine per tutto, per la vita, per quell’uomo, per essere andata oltre le paure e aver permesso a me stessa di vivere quell’esperienza, per ogni piccolo dettaglio presente nell’universo.
Quando mi calmai mi ritornò alla mente la richiesta che avevo fatto alla vita quel pomeriggio. Sorrisi rendendomi conto che senza far nulla e senza volerlo, mi ritrovavo in una camera tutta per me.

ITALIA-FRANCIA: PEDRO IL CAMIONISTA

Alcuni amici mi lasciarono in una stazione di servizio fuori Bologna dove una giovane coppia con una bambina mi offrì un passaggio sino ad Alessandria. L’uomo di professione era camionista così, dopo avergli detto che mi dirigevo nei pressi di Montpellier, chiamò alcuni dei suoi colleghi per vedere se qualcuno poteva offrirmi un passaggio, ma gli orari non coincidevano. Mi offrirono anche ospitalità a casa loro, ma era ancora mattina e sentivo di voler continuare. Mi lasciarono così, deviando dal loro percorso, in una stazione di servizio in direzione della costa ligure. Furono gentilissimi.
A volte alcune cose arrivano nella nostra vita solo per preparare il terreno affinché qualcos’altro accada. Mentre facevo l’autostop si fermò una macchina offrendomi un passaggio per andare poco più avanti. Quando non ci sono certezze rassicuranti intorno verrebbe quasi voglia di accettare qualsiasi cosa ci venga offerta, la prima situazione che ci sembri rassicurante anche se non è la più adatta a noi. Solo la pratica della fiducia e della pazienza ci permettono di ascoltare il nostro sentire, di non aver paura, di confidare che la vita ha già pronta la soluzione più adatta a noi in un certo momento.
Titubai un attimo davanti a quell’offerta, ma ringraziai e decisi di non accettare. Non mi conveniva andare poco più avanti in un posto uguale a quello in cui mi trovavo.
Nel fermarsi, la macchina aveva bloccato l’uscita di un camion che si era fermato ad aspettare per potersi muovere. Non me ne ero nemmeno accorta. Solo quando la macchina andò via alzai lo sguardo e incrociai quello del camionista che stava aspettando. Con il braccio mi fece cenno di salire. Non ero sicura mi stesse offrendo un passaggio, ma d’istinto andai. Salire su un camion con uno zaino sulle spalle è come scalare una montagna. 
Non sapevo con che lingua cominciare a parlare, di solito guardo la targa per scoprire la nazionalità, ma era accaduto tutto all’improvviso che non ci feci caso. Optai per l’italiano ma, allo scoprire che era portoghese, passai allo spagnolo. Mi appurai che mi stesse offrendo realmente un passaggio e appoggiai lo zaino sul letto dietro i sedili e mi misi a sedere comoda. Andava verso la Spagna, era per me il passaggio perfetto.
Dopo aver sistemato tutto e l’iniziale confusione lo guardai bene in viso. Fu allora che mi chiesi come mi fosse venuto in mente di salire su quel camion.
Era un uomo sulla cinquantina, calvo, con una canotta che gli dava un’apparenza un po’ rozza, i tratti del viso rudi e le folte sopracciglia unite. Se mi fossi fermata a quell’impressione probabilmente sarei saltata giù dal finestrino. Ma andai subito oltre e cominciai a parlare con lui.
Scoprii che amava la montagna, mi descrisse ciò che sperimentava nella natura e ne emerse un uomo capace di apprezzare la pace e il silenzio della natura, di sentire quella connessione, emerse il suo lato più profondo.
Mi raccontò che non da molto la moglie lo aveva lasciato andando via di casa senza dire nulla. Compresi che la cosa lo toccava ancora. Così cercai di confortarlo dicendogli che spesso ciò che ci accade di negativo, o meglio che noi giudichiamo come tale, è una maniera che ha la vita per darci ciò di cui abbiamo realmente bisogno, anche se al principio non riusciamo a vederlo.
Dietro quell’aspetto rude e un po’ rozzo si nascondeva un uomo sensibile, profondo e divertente. Risi un sacco lungo il viaggio ai suoi racconti e per il suo modo di scherzare ed essere sorpreso e interessato ad alcune mie scelte. Parlammo a lungo e di cose profonde e importanti. Era sinceramente interessato e toccato.
Mi fece sorridere il fatto che avesse una specie di piccolo scompartimento per cucinare e mi preparò lui stesso una cena vegetariana. Dormii in uno dei due letti dietro i sedili. 
Il giorno dopo mi confessò che non riuscì a dormire all’idea che una giovane ragazza dormisse così vicina, ma non si sarebbe mai permesso a farmi nulla di male o un’avance. Anzi, al mattino quando ricevetti una chiamata di mia madre mi chiese di parlare con lei. La rassicurò dicendole che “c’è ancora gente buona nel mondo”. Fu dolcissimo.
Aveva abbastanza tempo per cui uscì fuori dal suo percorso e prese una statale parallela all’autostrada per potermi accompagnare a pochi chilometri dal paesino dove dovevo andare.
Ci scambiammo il numero e ci salutammo.
Mi scrisse diverse volte dicendomi che dopo il nostro incontro aveva cominciato a mangiare meno carne, fumare meno e che gli veniva difficile ammazzare le mosche che gli entravano nel camion. Durante il nostro viaggio l’avevo richiamato scherzosamente diverse volte quando tentava di uccidere un insetto, e lui ne era divertito. Qualcosa, una piccola consapevolezza, si era risvegliata. Io non avevo fatto nulla se non mostrargli quel seme che era già presente in lui e in tutti e che dobbiamo solo coltivare.

ASTORGA-LOGROÑO: IMPARARE AD ACCETTARE CIO’ CHE E’

Era pieno inverno, così cominciai a fare l’autostop di mattina presto per arrivare prima che facesse buio. 
Alla rotonda in cui mi ero posizionata la gente mi guardava in modo strano. L’unico a fermarsi fu un uomo marocchino che andava poco più avanti, così accettai. Mi lasciò in un posto in cui fermarsi era un po’ difficile il che riduceva drasticamente la possibilità di trovare un passaggio. Ma una macchina si fermò. 
In realtà l’uomo si era fermato per parlare al telefono, ma alla fine acconsentì a darmi un passaggio. Mi prese poi un ragazzo che mi accompagnò in una statale parallela all’autostrada ritenendo che fosse un buon posto. 
In realtà non lo era.
La presenza dell’autostrada non a pagamento rendeva praticamente quasi inutilizzata quella statale che non era altro che la via di accesso a piccolissimo paesini quasi disabitati tagliati fuori dall’autostrada. Non è che non si fermasse nessuno, e che quasi non passavano auto! Mi ritrovavo sola, in pieno inverno in una strada deserta in mezzo al nulla. La mia mente cominciò a diventare negativa.
L’origine della negatività era dovuta al fatto che le cose non andavano come volevo o come io pensavo dovessero andare e per il fatto che mi stavo preoccupando per un futuro, un problema che ancora non c’era. Non riuscivo a trovare un passaggio, ma potevo approfittarne per camminare un po’. In realtà, osservando il momento presente tutto andava bene. Era una giornata di sole per cui camminare poteva risultare anche piacevole. Non c’era un reale problema nel momento presente, era ancora abbastanza presto, per cui avevo tempo prima che diventasse scuro, lo zaino non era pesante e la strada, tutta in pianura, costeggiata da paesaggi suggestivi.
In realtà il non trovare un passaggio in quel momento poteva essere un dono che mi permetteva di godere di quel paesaggio e di quel momento e camminare per me è sempre stata una grande meditazione.
E’ incredibile vedere come le cose cambiano quando smettiamo di giudicarle e le accogliamo, accettiamo per ciò che sono.
Cominciai così a camminare e il camminare mi aiutò a liberarmi della negatività e accettare ciò che era, oltre che a sentire meno il freddo! Nel momento in cui mi arresi e accettai le cose così com’erano la vita mi offrì una soluzione.
Passò una macchina, ma nonostante alzai il dito mostrando di volere un passaggio, non si fermò. Andò poco più avanti e fece inversione, mi superò, svoltò ancora e si fermò al mio fianco. Ci aveva ripensato e decise di offrirmi un passaggio sino all’imbocco dell’autostrada.
Li si fermò un signore molto anziano che mi chiese dove andassi. Rimase lì a pensare e ripensare, poi mi disse di salire in auto perché mi avrebbe portata in un posto migliore. Entrò in autostrada solo per accompagnarmi in una stazione di servizio dove mi sarebbe stato più semplice trovare un passaggio, e andò via. Fu lì che incontrai un uomo che andava diretto a Logroño.
Nel viaggio sorrisi allo scoprire che era partito proprio da Astorga qualche ora dopo di me.
Chissà, se non mi fossi anticipata così tanto per paura di non arrivare prima che facesse buio magari avrei fatto un viaggio più diretto. Ma si sa, gli insegnamenti e le avventure spesso stanno proprio nelle deviazioni.



LASCIAR SORGERE LE COSE ( del monaco AJAHN SUMEDHO )




Prima di lasciar andare le cose, dovete portarle a un livello di perfetta coscienza. Lo scopo della meditazione è permettere che il subconscio raggiunga la coscienza. Si permette alla disperazione, alla paura, all’angoscia, alla repressione e alla rabbia di diventare coscienti.

Molta gente tende a inseguire ideali molto alti e si sente frustrata quando si accorge di non esserne all’altezza, di non essere buona come dovrebbe, di non essere calma come dovrebbe: tutti questi 'dovrebbe' o 'non dovrebbe'... Sentiamo il desiderio di liberarci delle cose negative e questo desiderio ha una nobile giustificazione: è senz'altro giusto eliminare cattivi pensieri, rabbia, e gelosia, perché una brava persona ‘non dovrebbe provare cose tanto negative’. In tal modo nasce il senso di colpa.

Riflettendo, portiamo a livello di coscienza il desiderio di diventare quell’ideale e il desiderio di liberarci di ciò che è negativo. Solo così possiamo 'lasciar andare', in modo che invece di diventare una persona perfetta, lasciamo andare il desiderio di diventare tali. Ciò che rimane è la mente pura. Non c’è bisogno di diventare una persona perfetta perché è nella mente pura che la gente perfetta nasce e cessa.

E’ facile comprendere la cessazione a livello intellettuale, ma realizzarla può essere difficile poiché comporta lo stare con qualcosa che pensiamo di non poter sopportare. Per esempio, quando cominciai a meditare, mi ero fatto l’idea che la meditazione mi avrebbe reso più gentile e felice e mi aspettavo di sperimentare stati mentali meravigliosi. Invece, mai nella mia vita provai tanta rabbia e avversione come nei primi due mesi. Pensai: "E’ terribile, la meditazione mi ha reso peggiore". Ma poi contemplai perché stavo esprimendo tanto odio e avversione e realizzai che avevo trascorso gran parte della mia vita scappando da quei sentimenti. Ero un lettore accanito, portavo con me sempre dei libri. Ogni volta che sentivo paura o rabbia, prendevo un libro e mi immergevo nella lettura; oppure fumavo o mangiavo qualcosa. Mi ero fatto l’opinione di essere una persona gentile che non odia nessuno, per cui reprimevo ogni sensazione di avversione o odio.
Per questo i primi mesi come monaco furono molto difficili: cercavo sempre qualcosa con cui distrarmi, poiché con la meditazione avevo cominciato ad affrontare tutto ciò che per anni avevo cercato di dimenticare. Mi tornavano alla mente fatti dell’infanzia e dell'adolescenza; poi quell’odio e quella rabbia diventarono così espliciti che stavano per sommergermi. Qualcosa in me però mi diceva che dovevo sopportarli e farli uscire allo scoperto. L’odio e la rabbia che avevo soppresso in trenta anni si manifestarono in tutta la loro forza, poi furono come bruciati dalla consapevolezza e cessarono: attraverso la meditazione stava avvenendo un processo di purificazione.

Per permettere che questo processo si realizzi, bisogna essere pronti a soffrire. Ecco perché sottolineo l’importanza della pazienza. Dobbiamo aprire la mente alla sofferenza, perché solo abbracciando la sofferenza, questa cessa. Quando soffriamo, fisicamente o mentalmente, avviciniamoci a questa sofferenza, apriamoci completamente ad essa, diamole il benvenuto, concentriamoci su di essa, lasciandola essere ciò che è. Questo significa essere pazienti e sopportare il disagio di una certa situazione. Piuttosto che sfuggire ai sentimenti di noia, di disperazione, di dubbio, di paura, cerchiamo di sopportarli, perché solo comprendendoli, cesseranno.

Se non permetteremo alle cose di cessare, creeremo nuovo kamma, il quale a sua volta rinforzerà le nostre abitudini. Abbiamo l'abitudine di attaccarci ad ogni cosa che sorge e a lasciar proliferare i pensieri intorno ad esse, complicando in tal modo ogni situazione. Continuiamo così a ripetere per tutta la vita lo stesso atteggiamento; ma, inseguendo incessantemente i nostri desideri e le nostre paure, non possiamo certo aspettarci la pace. Se invece contempliamo i desideri e le paure, essi non ci inganneranno più; d’altronde dobbiamo conoscere ciò che dobbiamo lasciar andare. Il desiderio e la paura devono essere conosciuti come impermanenti, insoddisfacenti e senza un sé. Devono essere osservati e penetrati in modo che la sofferenza che contengono venga bruciata.

E’ molto importante, a questo punto, stabilire la differenza tra cessazione e annullamento – cioè il desiderio che sorge nella mente di liberarsi di qualcosa. La cessazione è la fine naturale di tutto ciò che sorge. Non è quindi un desiderio! Non è qualcosa che si crea nella mente, ma è la fine di ciò che è cominciato, la morte di ciò che è nato. Quindi, la cessazione non ha un ‘sé’ – non viene dall’impulso di ‘doversi sbarazzare di qualcosa’, ma avviene quando noi permettiamo che ciò che è sorto, cessi. Per farlo, si deve abbandonare la brama, lasciarla andare! Abbandonare significa lasciar andare, non rifiutare o cacciar via.
Con la cessazione, sperimentate nirodha – cessazione, vuoto, non-attaccamento. Nirodha è un’altra parola per Nibbana. Quando avete lasciato andare una cosa e le avete permesso di cessare, allora rimane solo la pace.

Potete sperimentare questo genere di pace nella meditazione. Quando lasciate andare il desiderio, ciò che rimane nella mente è una gran pace; ed è una vera pace, la non-morte. Conoscendo le cose 'così come sono', realizzate nirodha sacca, la Verità della Cessazione, in cui non c’è un sé, ma solo consapevolezza e chiarezza. La vera beatitudine è questa consapevolezza tranquilla e trascendente.
Se non lasciamo andare permettendo che avvenga la cessazione, rischieremo di partire da assunti che noi stessi ci costruiamo, senza neanche sapere ciò che stiamo realmente facendo.

Talvolta, solo con la meditazione cominciamo a capire come la paura o la mancanza di fiducia in sé, nascano da esperienze vissute nell’infanzia. Ricordo che da ragazzo avevo un carissimo amico che all’improvviso mi divenne ostile e mi respinse. Ne rimasi sconvolto per mesi e la mia mente ne ricevette un’impressione indelebile. Solo attraverso la meditazione realizzai come quel piccolo incidente avesse condizionato il mio rapporto con gli altri; avevo sempre avuto una tremenda paura di essere rifiutato, ma non ci avevo mai pensato, fino a quando non ne divenni consapevole con la meditazione. La mente razionale sa che è ridicolo continuare a pensare alle tragedie dell’infanzia. Ma se queste continuano a irrompere nella coscienza anche da adulti, vuol dire che cercano di dirvi qualcosa circa gli assunti e i pregiudizi su cui avete costruito la vostra personalità.

Quando, durante la meditazione, sentite sorgere ricordi ossessivi, non cercate di reprimerli, ma accettateli pienamente nella coscienza, e poi lasciateli andare. Se vi riempite la giornata in modo da evitare di pensarci, le probabilità per essi di arrivare alla coscienza sono minime. Vi impegnate in un'infinità di cose, vi tenete occupati, in modo che queste ansietà e queste paure senza nome non diventino mai consce. Ma che succede invece quando lasciate andare? Quell’ossessione, quel desiderio si muove – e si muove verso la cessazione. Finisce. E allora avrete l’intuizione della cessazione del desiderio. Infatti il terzo aspetto della Terza Nobile Verità è: "Si è realizzata la cessazione".


IMPARARE A RICEVERE



BISOGNI E DESIDERI
Quando cominciai a vivere sul cammino di Santiago non avevo molti soldi, ma non mi feci spaventare. 
Mi resi conto che l’idea che non ci fossero abbastanza soldi fosse una convinzione radicata non reale, un condizionamento, una paura, una scusante dell’ego per non renderci liberi e fare ciò che realmente sentiamo. Non sono mai i soldi il reale problema. 
Ebbi la conferma che quando siamo allineati al nostro essere, quando facciamo ciò che sentiamo davvero, quando agiamo con il cuore aperto e libero dall’interesse personale, la vita ci sostiene affinché continuiamo a farlo.
Naturalmente avrei potuto trovare un modo per procurarmi più soldi, avrei potuto lavorare, chiederli alla mia famiglia, ma colsi invece l’occasione come un’opportunità di sfida e apprendimento facendola diventare un modo per praticare l’umiltà, per non lasciarmi controllare dai desideri, apprezzare altre cose, aprirmi, permettere alla gente di aiutarmi e ovviamente praticare la fiducia.
Una frase mi accompagnò in questo percorso:
“Sei ricco se hai abbastanza denaro per soddisfare i tuoi desideri. Ma ci sono due modi per essere ricchi: puoi guadagnare, ereditare, prendere in prestito, mendicare o rubare il denaro che ti serve per soddisfare i tuoi desideri. Oppure puoi coltivare uno stile di vita semplice, con pochi desideri. In questo modo avrai sempre denaro a sufficienza.
…bisogna conoscere la differenza tra desideri e bisogni. Noi abbiamo innumerevoli desideri, ma i veri bisogni sono pochi. La totale attenzione a ogni momento è il vero piacere. L’attenzione non richiede denaro, l’unico investimento è l’addestramento.
Il segreto della felicità non sta nel volere molto, ma nel gioire di poco.”
Decisi così, o meglio mi venne spontaneo e naturale, coltivare uno stile di vita con pochi desideri e nella fiducia che i miei reali bisogni sarebbero stati soddisfatti.
Quando alcune cose non arrivano o non possiamo permettercele è che spesso vogliamo più di ciò di cui abbiamo bisogno. E il fatto che ci sia un così grande squilibrio tra coloro che hanno troppo e coloro che non hanno nulla è dovuto proprio all’incapacità di molti essere umani di riuscire a controllare i propri desideri che diventano sempre più numerosi e marcati quando non siamo allineati con il nostro essere, quando non esprimiamo realmente noi stessi, quando non mettiamo i nostri doni al servizio del mondo. 
Finché c’è un contrasto in un senso, ci sarà contrasto nel senso opposto, è il modo che ha l’universo per equilibrarsi. Finché ci saranno persone che hanno troppo, ci dovranno essere persone che hanno poco. 
Per questo coltivare nel proprio piccolo uno stile di vita semplice, disciplinarsi, imparare a lasciare andare delle cose di cui non abbiamo bisogno solo perché siamo attaccati ad esse, e ascoltarsi è un grande contributo per equilibrare il mondo, non c’è necessariamente bisogno di donare grandi cifre, sarà necessario solo finché ognuno non comincia il cambiamento nel proprio piccolo.
Già mentre facevo il cammino mi resi conto che alcune cose come prendere il caffè al mattino, comprare qualcosa quando ci si trovava in un bar in compagnia, erano solo abitudini dettate dalle circostanze o frutto di desideri e non reali necessità. 
E’ difficile che ci si chieda “ho davvero voglia di questo, il mio corpo ne ha davvero bisogno, o è solo che mi trovo in questa circostanza o è un desiderio o ancora la paura che se in futuro dovessi avere un bisogno non possa essere soddisfatto?”. E’ come bere un bicchier d’acqua quando in realtà non si ha sete. 
Quante volte nella vita quotidiana violiamo il nostro corpo riempiendolo di cose di cui non ha bisogno solo per noia, desiderio, paura?
Così decisi di imparare ad ascoltare il mio corpo e cercare di essergli più fedele, ovviamente è una pratica che può richiedere una vita e non è necessario essere così estremi, bastano davvero delle piccole cose.
L’atto di ascolto e di rinuncia viene ripagato da una maggiore libertà.
Se riuscivo a controllare alcuni desideri e ad aver fiducia non avrei avuto bisogno di privarmi della libertà o fare cose che andassero contro la mia natura e il mio essere per ottenere cose di cui non avevo un reale bisogno. Ma il tutto avvenne con naturalezza.
Oltretutto rinunciare a certe cose mi permise di dar valore e scoprirne altre. 
Avere pochi soldi in quel momento fu uno stimolo e un dono che mi permise di coltivare altri aspetti della vita.
Ricordo che quando tornai dal primo cammino e contattai alcune persone per incontrarci, tutti mi dicevano “vediamoci in questo bar” o “andiamo a mangiare qualcosa”, ed io rispondevo “perché non andiamo a fare una passeggiata?” e tutti rimanevano stupiti e apprezzavano il riscoprire la gioia del passeggiare. 
Siamo così presi da mille stimoli, sempre alla ricerca di nuovo “materiale per la mente” per distrarci, allontanarci da noi stessi, da dimenticare la bellezza delle cose semplici come una passeggiata che, oltre a creare un benessere fisico, ci permette di entrate in contatto con noi stessi e con la natura e di far emergere le nostre reali esigenze. E’ incredibile il grande potere che hanno le piccole cose.
Un’altra cosa di cui mi resi conto fu che più siamo realmente presenti in ciò che facciamo, più il nostro agire risponde alle esigenze del nostro essere più profondo, ci permette di esprimere noi stessi, più riscopriamo la bellezza che c’è dentro di noi e anche nello star con noi stessi, nel semplice essere, più automaticamente i desideri si riducono perché ciò che siamo o che facciamo ci riempie così tanto che non c’è più nessun vuoto da colmare. 
Quindi un buon inizio sarebbe quello di cominciare a piccoli passi a riscoprirci e fare ciò che davvero ci riempie e fa star bene.

IMPARARE A RICEVERE
Una cosa che dovetti imparare fu quella di ricevere. Per continuare a fare ciò che facevo era necessario un totale atto di abbandono e umiltà.
Già la vita mi aveva presentato varie situazioni, ma quella che ebbe più impatto avvenne i primi tempi in cui vivevo sul cammino.
Ero volontaria in un albergo donativo per pellegrini. Vivevo con altre persone in una grande vecchia casa che ci era messa a disposizione dal proprietario dell’albergo.
Le mie giornate erano piene e intense. Al mattino aiutavo a pulire l’albergo e mi occupavo dell’accoglienza dei pellegrini, in maniera libera e con gioia, era un po’ come restituire al cammino ciò che mi aveva dato e sostenere altri pellegrini in quel processo che per me era stato tanto importante. Oltre al fatto che avevo la possibilità di incontrare e condividermi profondamente con gente di tutto il mondo.
Studiavo lo spagnolo con un dizionario che mi avevano prestato, le erbe medicinali e, a volte, aiutavo degli amici nella ristrutturazione di una casa.
Avevo imparato ad arrangiarmi con cinque, dieci euro a settimana con cui riuscivo a mangiare non solo io, ma in alcuni casi ad offrire anche agli altri. Lo stare con poco era un grande stimolo.
Imparai a fare il pane invece di comprarlo, la pasta fatta a mano, mille modi per fare cose buone e sane con poco. Per vestirmi usavo i vestiti che lasciavano i pellegrini.
Avevamo un’intera stanza in cui conservavamo le cose che erano state dimenticate o quelle che i pellegrini avevano lasciato dopo essersi resi conto di non averne bisogno e che avere uno zaino leggero era più importante. 
C’era una bellissima frase su un muro lungo il cammino che diceva: “ciò che non serve, pesa”. 
Cucivo e modificavo ciò che non mi stava riscoprendo anche quest’arte.
Il proprietario dell’albergo con cui si era creata una connessione e un rapporto di affetto paterno, nonostante ancora non parlassi bene lo spagnolo, quindi senza molta comunicazione verbale, mi chiedeva spesso, quando andava a fare la spesa, se avessi bisogno di qualcosa, ma io continuavo a rispondere di no.
Se mi mancava o volevo qualcosa mi chiedevo se ne avessi davvero bisogno in quel momento, se non era una necessità imminente aspettavo con pazienza.
Ricordo che avevo dei sandali che non mi piacevano e volevo delle infradito. Ovviamente, non essendo necessarie non andai a comprarle. Facevo resistenza a indossare i sandali, finché un giorno mi resi conto che ciò che in realtà mi preoccupava era che non mi stessero bene. Quando lo realizzai cominciai a notare che non erano poi così male e che avrei potuto indossarli.
Quello stesso giorno, mentre stavo accogliendo un pellegrino, il proprietario dell’albergo venne, mi tolse i sandali e mi mise ai piedi delle infradito. Appurò che il numero fosse giusto, tagliò l’etichetta e andò via. 
Rimasi allibita. Non avevo detto nulla a nessuno. Ciò che accadde fu che quando avevo accettato le cose così com’erano e avevo lasciato andare l’attaccamento a come apparivo, la vita mi aveva fatto un regalo.
Più stavo li più amavo ciò che facevo e mi sentivo allineata al mio essere.
Tuttavia, nonostante riuscissi a cavarmela con molto poco senza farmi mancar nulla di indispensabile e facendo anche cose in più che sentivo di fare, arrivò un momento in cui rimasi con circa dieci euro.
Il problema non era ancora presente realmente e a volte è necessario arrivare al limite prima che la vita ci fornisca una soluzione, e quel limite è un’opportunità per guardare in faccia le nostre paure, stare con esse e accorgerci che non sono reali. E se lo oltrepassiamo vuol dire che quello è parte del nostro apprendimento o è necessario per smuovere noi stessi e le coscienze altrui.
Dieci euro mi sarebbero bastati ancora per una o due settimane e tutto ciò che potevo fare in quel momento era continuare a fare ciò che stavo facendo perché mi piaceva davvero e lo facevo con il cuore e in maniera disinteressata.
Spesso tutto ciò che dobbiamo fare è stare nel presente e dare alla vita il tempo di cui ha bisogno o il tempo di cui noi abbiamo bisogno per imparare la nostra lezione. Un amico mi ricordava spesso che “l’universo ha i suoi tempi” e che noi dobbiamo rispettarli.
Non dissi nulla a nessuno e continuai nella mia vita quotidiana di quel momento. Ovviamente una parte di me era preoccupata e tesa, c’è un passaggio tra il sapere certe cose e riuscire ad applicarle nella vita quotidiana, c’è un passaggio che richiede tempo, consapevolezza e pratica. Ma un’altra parte di me riusciva a rimanere attenta e presente.
Ebbi una settimana particolarmente intensa in cui più spesso e più a lungo ero andata ad aiutare i miei amici nella ristrutturazione della casa.
Una sera andai in camera e, nello spostare le lenzuola per mettermi a letto, sbucò qualcosa da sotto il cuscino. Lo spostai e vidi che erano dei soldi. Era incredibile, non capivo chi avesse potuto metterceli. La mia sorpresa era incrementata dal fatto che non avevo detto nulla a nessuno rispetto al fatto di aver pochi soldi. Non era molto, ma per me era più che abbastanza per continuare a fare ciò che stavo facendo.
Passai la notte piena di energia e avvolta in un senso di magia e gratitudine, ma non per il fatto di avere dei soldi, non mi importava di tenerli o meno, ma per il senso di sorpresa, tutto era arrivato al momento giusto, e per il fatto che la vita mi stava confermando ciò che sentivo, che quando siamo sul nostro cammino e abbiamo fiducia ci viene incontro per sostenerci.
Continuavo a chiedermi chi avesse potuto metterceli, e mi faceva sorridere il modo dolce e delicato di farlo.  La casa in cui vivevamo era sempre aperta, non c’era una chiave, quindi poteva entrare chiunque. 
Ovviamente il primo pensiero andò ai miei amici dato che avevo lavorato tanto con loro quella settimana. Così al mattino andai da loro dicendogli che non c’era bisogno, che li avevo aiutati volentieri perché sentivo di farlo. Ma mi dissero di non esser stati loro. 
Pensai un po’ e andai dal proprietario dell’albergo. Vedendolo dall’esterno sembrava una persona rude, molto semplice e poco profonda. Era invece dotato di una grande sensibilità, riusciva a capire ciò che sentivo o di cui avevo bisogno senza dire nulla, e questo accadeva non solo con me. In dei piccoli gesti che faceva si poteva comprendere e vedere la sua bontà e disponibilità. Inoltre era onesto e non cercava di nascondersi dietro un’apparenza, ma si mostrava per ciò che era. Sentivo un grande affetto per lui.
Gli chiesi se mi avesse lasciato qualcosa sotto il cuscino, ma lui rispose di no. Lo guardai negli occhi e gli dissi che era l’unica persona possibile e che non ero lì per avere dei soldi, ma per offrire un servizio agli altri. Lui mi guardò con dolcezza e rispose “anch’io”.
Quelle semplici parole mi risvegliarono. Mi resi conto che eravamo tutti in un circolo di scambi in cui ognuno dava e apportava a modo suo e che era necessario imparassi a ricevere per continuare a fare ciò che stavo facendo. 
Mi resi anche conto che spesso noi diamo a qualcuno e la vita ci ricambia attraverso qualcun altro, che a volte non c’è bisogno di un dare concreto per ricevere, che le cose non sono cosi lineari come la mente immagina, non seguono uno schema prestabilito ma hanno di sottofondo delle leggi universali che creano una sorta di equilibrio. 
Per questo è importante imparare a dare senza aspettarsi nulla in cambio, neanche che l’altra persona sperimenti un miglioramento o un benessere dovuto al nostro atto di dare, ma dare solo per la gioia di farlo e senza aspettarsi nulla di tangibile o visibile. Magari aiutando o sostenendo qualcuno gli daremo la possibilità di farlo in futuro con qualcun altro. Così la ricompensa, se deve essercene una, non ci giunge direttamente, ma attraverso il benessere di un’altra persona, questo crea equilibrio. Oppure ci può capitare di dare a qualcuno in una situazione e ricevere da qualcun altro quando ne avremo bisogno. Per questo invece di lamentarsi per il fatto di non ricevere da quella persona da cui ci aspettiamo di ricevere, è più salutare rimanere vigili e attenti alle possibilità che la vita ci offre in un dato momento altrimenti nell’attesa di soddisfare un’aspettativa rimaniamo ciechi e manchiamo ciò che la vita ci offre. E’ come aspettarsi di ammirare un bel paesaggio guardando un muro quando invece la finestra è alle nostre spalle.
In quel momento quell’uomo era stato uno strumento attraverso cui la vita mi fornì ciò di cui avevo bisogno ed io sentivo un profondo affetto e gratitudine nei suoi confronti.
Nonostante ciò e le mie consapevolezze, una parte di me di sentiva un po’ a disagio nell’accettare e non degna di ciò che stavo ricevendo. Ma decisi di accogliere ciò che la vita mi stava offrendo e mi ripromisi che, qualora mi fossero arrivate delle cose, dei soldi, li avrei usati solo per ciò che mi era realmente necessario e che sostenesse il mio cammino di crescita e servizio e non per soddisfare dei desideri. Era un modo per purificare non solo me, ma anche chi mi sosteneva e il sistema in generale. Un modo per apportare il mio piccolo granello di sabbia.
Dopo qualche giorno la vita mi forni una risposta e uno strumento per lavorare su quel senso di disagio e di non essere degna.
Venne nell’albergo una donna italiana che faceva il cammino in bici con suo figlio. La sera parlammo un po’ toccando alcuni temi importanti, ma senza allungarci troppo nella conversazione. Al mattino mi aspettò e quando arrivai mi porse un libro dicendomi “ora so perché l’ho portato, perché dovevo darlo a te”. Mi sembrò così strano da parte di quella donna con cui non avevo nemmeno parlato più di tanto. Ovviamente lo accettai.
Quel libro rispose non solo a tante domande e mi chiarì alcune cose che stavo vivendo in quel periodo, ma mi offrì una riflessione su quel senso di disagio:
“Ho conosciuto moltissime persone che si preoccupano degli altri, che sono estremamente generose nel momento di dare e che provano un piacere profondo quando qualcuno si rivolge a loro per un consiglio o un aiuto. Fin qui nessuna sorpresa, è davvero bello soccorrere il prossimo.
Al contrario conosco pochissimi individui capaci di ricevere, e questo anche quando le cose gli vengono offerte con amore e generosità. E’ come se l’atto di accettare li facesse sentire inferiori, come se il fatto di dipendere da qualcuno risultasse indegno. E allora gli capita di pensare: “se mi viene data qualcosa è perché non sono in grado di ottenerlo con i miei sforzi”, oppure “le persone che mi offrono tutto questo lo rivorranno con gli interessi”, o peggio ancora “non merito il bene che vogliono farmi”.
Ciò non vuol dire accettare tutto ciò che ci viene offerto anche quando non ne abbiamo bisogno o in alcune circostanze non interrogarsi sulla reale motivazione che spinge qualcuno a dare, non significa che in alcuni casi non sia necessario rifiutare, significa chiedersi cos’è che ci impedisce di accogliere qualcosa quando ne abbiamo bisogno, cosa ci impedisce di lasciar che la vita si prenda in qualche modo cura di noi, cos’è che blocca il nostro fluire o ci crea disagio.
Bisogna rimanere attenti e aperti per vedere i mille modi in cui la vita ci fornisce risposte e mezzi per proseguire sul nostro cammino. Bisogna rimanere aperti a rompere i nostri schemi e condizionamenti e lasciarci sorprendere.




UNA MANO SUL CUORE


Cio' che mi colpì di quel ragazzo appena conosciuto e con cui mi sarei ritrovata a viaggiare insieme, fu un gesto che fece. 
Nel mettere lo zaino nel portabagagli avevo battuto forte la testa al portellone. 
Sull'autobus, seduta accanto a lui, mi toccai la zona dolorante. Senza dire nulla alzò il bracciò e posò la mano sulla testa toccando la ferita che si era gia' gonfiata, e la lasciò li per qualche minuto, rimanendo in silenzio e con gli occhi chiusi. 
Mi sentii un po' in imbarazzo sotto quel tocco, lui invece aveva un'espressione tranquilla e serena, come se fosse la cosa più naturale del mondo posare la mano sulla testa di una sconosciuta che si era appena causata un bel bernoccolo. 
Non capivo se avesse dimenticato di aver posato la mano sulla mia testa, se la botta mi avesse causato anche delle allucinazioni o se in qualche modo mi stesse come curando. 
Fatto sta che mi arresi a quel tocco, non mi ribellai né pronunciai una parola, nemmeno diedi spazio alla mente di costruire interpretazioni di ciò che stava accadendo, semplicemente rimasi li, fluendo con quel momento di magia, e sentii un'energia bella, qualcuno si stava prendendo cura di me ed era piacevole, dolce, delicato. E il dolore passo' in fretta.

Il dolore passa piu' rapidamente se c'e' qualcuno a posare una mano sul cuore. Senza parlare. L'unica cosa di cui abbiamo bisogno nel dolore e' un gesto delicato, un abbraccio, perche' basta l'amore a spingerci a reagire rispettando i nostri tempi.
Spesso si ha paura della sofferenza, non solo della nostra, ma anche di quella degli altri. Allora ci dimentichiamo di abbracciare e forziamo le persone a reagire, rivediamo in loro una parte di noi o abbiamo paura di essere contagiati da quel dolore. Ma per abbracciare abbiamo bisogno di essere coscienti di essere esseri unici, ognuno con un proprio cammino che, per quanto possa essere condiviso per momenti o per una vita intera, resta sempre individuale e nulla puo' contagiarci se non nella misura in cui noi gli permettiamo di farlo.
Non possiamo togliere il dolore a nessuno, ma possiamo insegnargli a viverlo e che nella vita si puo' sempre scegliere come vivere cio' che accade. Non possiamo risolvere la vita di nessuno, ma possiamo seguire il nostro cammino e dare un esempio. Non possiamo forzare qualcuno a cambiare affinche' si adatti alla nostra vita o al nostro ideale di vita, ma possiamo aiutarlo a sentirsi libero di seguire il proprio cammino, accompagnarlo in alcuni tratti coscienti che stiamo scegliendo di farlo e percio' senza forzare la sua maniera d'essere e senza aspettarsi nulla in cambio se non cio' che si esprime con naturalezza. 
Il fatto e' che solo quando siamo in pace con noi stessi, quando siamo capaci di accogliere e stare anche le emozioni scomode senza lasciarci trascinare da esse, allora riusciamo ad abbracciare, accompagnare e insegnare, a non prendere le cose sul personale, a non cercare di controllare e cambiare negli altri cio' che non riusciamo a controllare e cambiare in noi stessi.

SE DAI, RICEVI


Era il termine di un ritiro di tre giorni e mi trovavo con la mia compagna di stanza a raccontarci delle nostre vite. Nel raccontarci le feci vedere una foto dei cuori di stoffa che mi piace fare e che di solito regalo.
Mi chiese se li facessi per commissione. Non mi era mai capitato, però le dissi che se mi avesse dato l’indirizzo glieli avrei mandati. Mi chiese il prezzo, ma le dissi che non avevano un costo e che lo facevo volentieri, per me era una gioia avere qualcuno a cui farli. Lei insistette, ma le dissi di non preoccuparsi.
Anche il ritiro a cui avevamo partecipato non aveva un costo, ma chiunque volesse o potesse permetterselo poteva lasciare un’offerta libera.
Dopo aver chiacchierato con la ragazza decisi di andare a lasciare il mio contributo.
La preoccupazione di “non avere abbastanza soldi” è uno dei condizionamenti più radicati nella maggior parte delle persone, anche in coloro che hanno un alto conto in banca.
Ovviamente questo condizionamento è presente anche in me, in particolare con lo stile di vita che ho intrapreso. La pratica della fiducia richiede tempo e pazienza. Sradicare dei condizionamenti può rappresentare il lavoro di un’intera vita.
Mentre ero in fila pensavo che “non avevo abbastanza soldi” per permettermi di fare una donazione. La preoccupazione affollava la mia mente, finché una sorta di voce più profonda si fece spazio tra i pensieri dicendo “se dai, ricevi”. I pensieri preoccupati rimasero li, ma quella voce creò quella tranquillità che mi permise di non ascoltarli, di non dargli troppa importanza. Le preoccupazioni non dovevano interferire su quello che era il mio sentire in quel momento.
Andai così determinata a fare la mia donazione, ovviamente nei limiti di ciò che potevo in quel momento.
Tornai poi in camera a prendere le mie cose. 
La ragazza con cui avevo chiacchierato prima era già andata via. Nel sistemare mi resi conto che qualcosa fuoriusciva dal mio borsello. Erano dei soldi. Ero certa li avesse lasciati li la ragazza che mi aveva chiesto di farle i cuori e, coincidenza, erano la stessa quantità della mia donazione.
Fu più che chiaro, "se dai, ricevi".
Ovvio, non sempre in maniera così diretta e a volte in forma diversa, ma quando facciamo ciò che davvero sentiamo liberandoci da preoccupazioni e paure, la vita ci incoraggia e sostiene.