In un mondo in cui vengono sempre più
promossi e pubblicizzati i fatti negativi, in cui viene trasmesso un messaggio
che spinge a vedere il mondo come un luogo oscuro e totalmente cattivo e
pericoloso, pur riconoscendo e considerando la follia dell’uomo che
nell'inconsapevolezza diventa capace di generare morte e distruzione, è
importante continuare a praticare la fiducia.
Bisogna riconoscere che nessuno in realtà è “cattivo” e in ognuno di noi c’è un seme di spiritualità.
Questo non vuol dire che non ci siano
persone che commettono atti negativi o danneggino gli altri e che non bisogni
farglielo notare. Ma possiamo imparare a farlo con amore, riconoscendo che non
è mai la reale essenza della persona a fare danno, ad essere “cattiva”, se non
l'ignoranza, il non sapere o essere capaci di agire in modo diverso, i
condizionamenti, le paure, le emozioni negative, la sofferenza non
riconosciuta, accettata, vissuta e lasciata andare che spesso si accumula nel
cuore umano.
Spesso è proprio chi soffre che fa del male
anche agli altri e attribuire alla persona in se la caratteristica di “cattiva”
è limitante dell’essere umano.
Se riusciamo ad andare oltre questa
caratteristica della personalità, non della persona, frutto di circostanze, se
riusciamo a perdonare e vedere in ognuno quel seme di spiritualità e bontà,
gentilezza e dolcezza, aiutiamo anche l’altra persona a vederlo.
Spesso noi stessi non siamo capaci di
vedere la nostra luce e abbiamo bisogno di qualcuno che ce la ricordi.
Vorrei citare, raccontare, alcune delle esperienze vissute direttamente in questi anni che mi hanno confermato che quella luce esiste, e più siamo capaci di vederla più le permettiamo di risplendere.
L’idea è quella di riportare un po’ di
fiducia e ricordare che se iniziamo ad andare oltre le apparenze, i pregiudizi
e gli schemi mentali e a guardare con gli occhi puri e con amore, un nuovo
mondo si apre davanti a noi. Se guardiamo con fiducia aiutiamo anche
l’altra persona ad avere fiducia nelle sue buone qualità e gli permettiamo di
riconoscerle e coltivarle. Perché in realtà tutto dipende da ciò che
scegliamo di coltivare, il problema è che spesso la nostra scelta non è
consapevole perché non conosciamo quali alternative abbiamo, non sappiamo che
si può agire, vivere e muoversi nel mondo in maniera diversa da quella che
abbiamo appreso o che pensiamo essere quella giusta.
Ho iniziato a chiamare ATTI DI FIDUCIA alcune esperienze e momenti in cui mi sono affidata completamente alla vita e a quelle sagge forze dell’universo che sempre ci danno ciò che è meglio e necessario per noi in un certo momento.
Sono consapevole dei rischi che a volte
posso correre e non vado oltre certi limiti e ho imparato a riconoscere i
segnali del mio corpo e quelli della vita. Ma qualora superassi dei limiti o
accada qualcosa, son pronta ad accettarne le conseguenze come qualcosa di utile
e necessario alla mia crescita ed evoluzione.
Per diversi anni ho vissuto lungo il cammino di Santiago, frequentato e per certi periodi vissuto in centri di meditazione e monasteri buddhisti, che sono comunque realtà specifiche e protette e ho avuto la possibilità di coltivare questa fiducia. Fiducia nella vita, nelle leggi dell’universo, in me stessa e nella gente. Ognuno, o almeno la maggior parte, c’è sempre chi ha barriere e condizionamenti più rigidi e solidi, si rivelava una persona disponibile, pronta ad aiutare gli altri, aperta, capace di andare oltre le paure, di scoprire il lato più profondo di se stesso e della vita. Le cose si muovono in un clima di maggiore amore, consapevolezza, disponibilità. Questo mi ha confermato l’influenza del contesto e quanto siano importanti certe esperienze fuori dai contesti usuali per riscoprirci, riscoprire quegli aspetti che abbiamo dimenticato.
In realtà tutto è parte di tutto, non si
può praticare qualcosa nel piccolo senza poi estenderla al grande. La mia
necessità divenne quella di estendere a contesti più grandi ciò che avevo
praticato nei vari contesti più piccoli.
Quella che noi consideriamo famiglia non è altro una versione più piccola, ridotta, di quello che può essere il mondo quando ci apriamo agli altri.
Quello che noi consideriamo amore verso un
partner, una persona cara, un figlio, non è altro che la canalizzazione di
qualcosa che può essere infinitamente più grande e che può essere esteso a
tutte le creature.
Quella che noi chiamiamo casa, terra
natia, non è altro che uno scorcio di mondo.
Ogni posto può diventare casa, ogni
incontro e scambio profondo può essere famiglia, ogni persona, ogni essere
merita il nostro amore.
Il cammino di Santiago, i monasteri e i centri di meditazione furono per me una versione più estesa della famiglia, della casa e che mi permise di praticare l’amore incondizionato.
Poi l’esigenza fu quella di estenderla
ancora di più così cominciai con l’autostop.
Sino ad arrivare al punto in cui non c’è
più nessuna separazione tra posti, persone, situazioni e la fiducia, l’amore e
l’apertura restano una costante sempre presente e che si pratica ovunque.
VIAGGI IN AUTOSTOP
In un certo momento, quando vivevo lungo cammino, sentii l’esigenza di portare ciò che avevo vissuto sul cammino, quello spirito che avevo li ritrovato, anche fuori.
Iniziai sentendo l’impulso di viaggiare in
autostop. Ovviamente avevo paura di farlo da sola. I miei rigidi
condizionamenti e le paure mi bloccavano. Ma mi rispettai senza forzarmi
troppo, consapevole che ogni cosa è un processo che inizia con una presa di
coscienza e che quando mettiamo un’intenzione nell'universo, ad un certo punto,
quando siamo pronti, le cose si allineano affinché facciamo ciò che dobbiamo
fare senza uno sforzo reale. Dobbiamo solo riconoscere e guardare in faccia le
nostre paure. E così fu.
Dapprima mi capitò di fare l’autostop in compagnia, come una sorta di preparazione.
Con un amico finimmo da Santiago de
Compostela, in Spagna, a Porto, in Portogallo, quasi senza volerlo. Fu
un’esperienza bellissima. Trovammo un uomo che, nonostante l’apparenza rude, si
rivelò gentilissimo e si prese cura di noi con l’amore di un padre. Anche nel
viaggio in Portogallo incontrammo gente gentile e disponibile.
Mi capitò poi un giorno di trovarmi da
sola alla fermata di un bus per andare in un posto un po’ isolato in cui
l’unico mezzo era proprio quel bus. Mentre aspettavo, una parte di me mi
spronava e forzava a superare le mie paure e fare l’autostop. Mi sentivo tesa e
indecisa, finché una voce più saggia emerse dal profondo di me stessa e mi
disse “non preoccuparti, se devi fare qualcosa la vita ti metterà nelle
condizioni per farlo, tu devi solo accettare”. Così mi rassicurai smettendo di
essere così dura con me stessa.
E infatti l’autobus non passò e non mi
rimase che fare l’autostop. Neanche a dirlo, andò benissimo. Fu la prima
esperienza, breve, che feci da sola.
LA RESA
Non passò molto tempo che mi ritrovai in una situazione in cui dovevo percorrere una distanza più lunga.
Si crearono delle circostanze in cui
sentii una resa totale alla volontà della vita, in cui non mi interessava se
vivere o morire, e fare l’autostop diventò un modo, in quel momento, per
superare le mie paure e aver fiducia nella vita. Si convertì in una sorta di
pratica spirituale, un po’ come estendere il cammino di Santiago anche fuori
dal contesto protetto del cammino e dimostrare che potevo incontrare la
disponibilità e bontà della gente ovunque, se solo io ero capace di vederla.
E non perché l’autostop sia qualcosa di
così speciale o così fuori dal comune, ma semplicemente fu quella la chiamata
interiore che ricevetti in quel momento, fu quello lo strumento che mi diede la
vita per superare alcune paure e limiti, considerati i miei condizionamenti, la
mia storia di vita e il punto di partenza da cui ho iniziato a fare i miei
cambiamenti.
Ognuno di noi dovrebbe considerare da dove è partito ed evitare di confrontarsi, al massimo possiamo prendere qualcun altro come esempio che ci aiuta a sviluppare qualche caratteristica che può essere buona per noi e per gli altri. Ma per evitare di essere duri con se stessi e forzarsi troppo, bisogna tenere in considerazione che ciò che per qualcuno può essere uno sforzo grande, per qualcun altro può essere una passeggiata e viceversa.
Bisogna rispettarsi e spesso semplicemente
prendere consapevolezza di quali sono i nostri limiti e mettere in circolo
nell'universo l’intenzione e la reale volontà di superarli. Poi la vita ci darà
strumenti e situazioni di cui abbiamo bisogno.
Mi capita ancora di usare l’autostop come pratica e come mezzo di spostamento, soprattutto quando sento di voler rinfrescare quel senso di fiducia e quella sensazione di resa totale dato che le resistenze tornano sempre a farsi sentire, oltre ad essere una possibilità per condividere e andare incontro alla gente, dare una sorta di messaggio.
ALCUNE ESPERIENZE IN AUTOSTOP
La mia gratitudine va a tutti coloro che mi hanno “raccattata” per strada, aiutata, accolta, offerto da mangiare e ospitata, o anche a coloro che mi hanno fatto un cenno gentile, un sorriso, mi hanno dato un’informazione o si sono scusati per non potersi fermare. La mia gratitudine va anche a coloro che mi hanno guardata male o ignorata perché hanno permesso che le cose andassero così come dovevano andare. Bisogna rispettare e riconoscere non solo i propri limiti, paure e condizionamenti, ma anche quelli altrui.
Tutti, o almeno la maggior parte, di
coloro che ho incontrato sono sempre stati gentili e disponibili, ovviamente
con ognuno ho condiviso più o meno intensamente, ma quasi tutti si sono
preoccupati di dove lasciarmi a fine corsa, di scegliere un buon posto, in
molti hanno allungato o cambiato il loro percorso per lasciarmi dove dovevo
andare o in un buon posto per continuare a fare l'autostop e ognuno, a modo
suo, ha contribuito al mio cammino e percorso interiore.
Tutto questo non vuole essere un incoraggiamento a fare l’autostop. Questo è ciò che io ho sentito di fare in un dato momento, è stata ed è ancora in alcuni casi la mia pratica. Più che altro ciò vuole essere un incoraggiamento a coltivare quel senso di fiducia nella vita e negli altri, quella positività e a superare le nostre paure quando dentro di noi sentiamo di voler far qualcosa. E’ una pratica che può richiedere una vita, una sorta di processo di de-condizionamento e purificazione, ma ci permette di avere un cammino più allineato al nostro essere.
Citerò alcune delle esperienze più intense senza nulla togliere alle altre, ma solo perché sono quelle che vengono alla mente e possono essere trascritte con più semplicità.
SANTIAGO-PORTO: IL MURATORE CON IL SOGNO DI VIAGGIARE
Fu il primo lungo viaggio in autostop. Ero con un amico in un paesino non lontano da Santiago de Compostela. La nostra intenzione era tornare a Santiago in autostop. Non si trattava in realtà di una zona molto trafficata e le poche macchine che passavano non si fermavano. Percorremmo così lunghi tratti camminando. Fin quando, fermi in un piazzale ormai con la certezza di non trovare nessun passaggio, si fermò un furgoncino con tre uomini con abiti sporchi da lavoro e l’aspetto rude. Il conducente ci disse che si dirigevano in un paesino vicino Porto.
Nei giorni precedenti mi era balenata per
la mente l’idea di andare in Portogallo, ma l’avevo poi scartata. Guardai il
mio amico e dissi “Perché no? Andiamo a Porto!”. Così ci imbarcammo sul
furgoncino.
L’uomo che guidava sembrava molto
interessato alla nostra storia e ci fece diverse domande. Ci teneva a scambiare
il numero di telefono e all’arrivo ci disse che ci avrebbe chiamati in tardo
pomeriggio e che se non avessimo trovato un posto dove passare la notte ci
avrebbe aiutati.
Il tardo pomeriggio arrivò e non trovammo
nessun posto dove dormire. Aspettammo la chiamata dell’uomo che ci aveva
accompagnati, ma non si fece vivo.
Ovviamente pensai che non fosse stato così
onesto.
Abbiamo sempre la tendenza a pensare
negativamente quando le cose non vanno come vorremmo. Una parte di noi, quella più
emotiva, reagisce alla situazione fabbricando storie non reali.
Pensieri negativi o meno, restava però il
fatto che non sapevamo dove passare la notte. Non che fosse qualcosa di
drammatico, anzi ora lo vedo come un’opportunità per sorprendermi, adattarmi e
accogliere ciò che la vita mi offre. Ora riesco a vedere le origini primordiali
di questa paura radicata di non avere un “riparo”, ma in quel momento restava
qualcosa da risolvere.
Senza andare nel panico cominciammo a
camminare per il paese in cerca di qualcosa, di un “segnale”. Finché non
passammo vicino ad una chiesa e il mio amico decise di entrare. Io lo aspettai
fuori. Uscì poco dopo in compagnia di un signore a cui mi presentò e che subito
ci accompagnò tra le strade del paese sino ad una casetta che ci venne messa a
disposizione per passare la notte. Era incredibile come dal nulla la vita ci
aveva fornito una soluzione.
L’indomani decidemmo di andare a Porto in
autostop e ci avviammo verso l’uscita del paese. Tentammo un po’, ma nessuno ci
dava l’idea di essere intenzionato a fermarsi. Mentre aspettavamo un po’
scoraggiati ricevetti una chiamata. Era l’uomo che ci aveva portati sin lì il
giorno anteriore. Ci chiese dove fossimo e ci disse di aspettarlo li. Quando
venne si scusò e ci raccontò che era stato sino alle tre del mattino in
ospedale perché suo figlio era caduto battendo la testa. Ciò nonostante, una
volta appurato che il figlio stesse bene, pensò a noi. Non solo venne a
prenderci alle nove del mattino dopo una notte insonne, ma ci portò a Porto e
ci offrì la colazione.
Dopo averci salutati quasi commosso ci
disse che avrebbe sempre voluto fare ciò che noi stavamo facendo, viaggiare il
libertà. Sentii una grande tenerezza e gratitudine verso quell’uomo dall’aspetto
rude e il cuore grande.
BARCELLONA-GENOVA: UN VIAGGIO IN ECUADOR
Per uscire da Barcellona senza troppa confusione presi un treno per Figueres, al confine con la Francia.
Alla stazione trovai subito un passaggio
per una rotonda che mi mettesse in direzione Francia. Fu il posto in cui
aspettai più a lungo. C’era un altro ragazzo, in un’altra direzione della
stessa rotonda, che mi disse di essere lì da ore. Non era incoraggiante.
Se da un lato nel cielo c’era un sole
splendente, dall’altro si faceva sempre più grigio, sembrava si prospettasse
l’arrivo di un temporale. Ero sola, in mezzo ad una rotonda, senza nulla nelle
vicinanze dove potermi riparare. Duro test di pazienza. Cominciai a diventare
nervosa sino a disperarmi.
Le uniche macchine che si fermarono
andavano in direzioni diverse, alcune verso Barcellona, tanto da farmi pensare
che non fosse esattamente un buon posto. Si fermò ad un certo punto un ragazzo
che andava a Barcellona. Viste le circostanza pensai che non mi rimaneva altra
scelta che tornare indietro e trovare da lì un’altra soluzione.
Mi arresi.
Ed è proprio quando ti arrendi, quando lasci andare ogni attaccamento a come vorresti che andassero le cose, quando ti arrendi a non avere il controllo, è proprio lì che la vita si manifesta e ti sorprende. C’è un grande potere nel lasciare andare, nell’arrendersi a ciò che è in quel momento, a ciò che possiamo e non possiamo fare, cambiare, controllare.
Raccontai al ragazzo la mia storia e, mentre eravamo in viaggio sull’autostrada mi segnalò una stazione di servizio in direzione opposta alla nostra che, a suo parere, era un buon posto per fare l’autostop. Gli ricordai che stavamo viaggiando nell’altro senso quando lui si offrì di fare inversione e portarmi li. Non avevo molto tempo per meditare su che decisione prendere e d’istinto accettai. Mi rimisi così in strada.
Dopo poco più di mezz’ora di tentativi
andati male e con la pazienza ancora più limitata di prima, mi arresi
nuovamente. Decisi di entrare nella stazione di servizio e chiedere a qualcuno
che lavorava li se potesse darmi un passaggio per la stazione più vicina.
Proprio mentre aspettavo alla cassa sentii
accanto a me un uomo parlare spagnolo con un marcato accento italiano. Era un
camionista. Gli chiesi subito se era italiano e alla sua risposta affermativa
gli chiesi se potesse portarmi in Italia. Mi lasciò qualche minuto in sospeso,
infine accettò.
Fu gentilissimo, dormii nel camion in uno
dei due letti a castello, sentendomi protetta come a casa.
Arrivati a Ventimiglia ci salutammo e
ripresi il mio viaggio sola.
Mi fermai sulla spiaggia di prima mattina
ascoltando il rumore del mare e i suggerimenti della mia guida interiore.
Decisi che avrei attraversato la costiera ligure lungo la statale.
Cambiai su per giù una decina di macchine,
il mio viaggio si convertì in alcune brevi sedute psicologiche. Tutti sentono
l’esigenza di aprirsi, di condividere quel seme di spiritualità, quella
profondità che spesso ci si dimentica di possedere. Non è che non siamo
profondi, saggi e pieni di luce, è che non ce lo ricordiamo.
Non ero molto lontana da Genova che un
ragazzo mi lasciò all'imbocco dell’autostrada suggerendomi che da lì sarebbe
stato più semplice proseguire.
Si fermò un ragazzo dell’Ecuador dicendomi
che mi aveva vista prima passando con il furgone del lavoro e che si era
ripromesso che se mi avesse trovata ancora li mentre rientrava a casa, mi
avrebbe dato un passaggio. Così fu.
Cominciammo in auto un profondo scambio in
spagnolo. Fu davvero intenso. Alla fine lo sentii così pieno di vita. Mi lasciò
alla stazione suggerendomi di prendere un treno visto l’orario e mi chiese il
numero di telefono perché disse che gli avrebbe fatto piacere potersi
condividere ancora. Glielo diedi.
Mentre aspettavo il treno accesi il
telefono che spesso tengo spento. Appena acceso ricevetti una chiamata dal
ragazzo ecuadoriano. Mi disse di esser tornato a casa e aver parlato con la
moglie e che volevano invitarmi a casa loro. Ovviamente accettai.
Mi trattarono come un’ospite d’onore.
Parlammo a lungo e cenammo insieme una tipica cena della loro terra. Giocai un
po’ con la loro dolce bambina e andai a riposare.
L’indomani la ragazza volle a tutti i
costi che scegliessi tra una delle sue maglie e la prendessi con me. Non ne
avevo bisogno, ma sentii così tanto in lei questa sincera voglia di dare, senza
rendersi conto che già mi avevano dato tantissimo. Accettai pensando che a mia
volta avrei potuto darla a qualcun altro. Mi accompagnò sul lungo mare in
direzione Genova, la ringraziai e mi rimisi in viaggio.
All’entrata di Genova un uomo mi
accompagnò da una parte all’altra della città lasciandomi in una zona
bellissima. Durante il tragitto, senza che dicessi nulla, si fermò per comprarmi
ben cinque pezzi di focaccia e una bottiglietta d’acqua. Passai il resto
della giornata passeggiando in un piccolo parco sul mare aspettando un’amica
che mi avrebbe ospitata e con un senso di gratitudine nel cuore.
FRANCIA: L’UOMO CON I DENTI ROVINATI
Era tutto il giorno che facevo l’autostop e una coppia polacca mi aveva appena lasciata in una stazione di servizio. Decisi di riposare un po’ prima di riprendere. Mi sedetti su una panchina in una piccola area verde per mangiare dei biscotti. Non passarono nemmeno un paio di minuti che passò un uomo e mi chiese se volevo un passaggio. Lo zaino era un segno visibile del fatto che stessi facendo l’autostop. D’istinto accettai.
Salii sul furgoncino e, dopo essermi
assestata, nel guardare meglio l’uomo che mi stava accompagnando, mi resi conto
che aveva i denti rovinati tipici delle persone che usano droghe. Chiaro che
potessero esserci anche altri motivi, ma la tendenza che abbiamo a pensare
negativamente portò una parte di me a spaventarsi un po’. Ma subito mi rilassai
affidandomi totalmente a ciò che stava accadendo nel momento presente, entrai
in uno stato di vigile presenza che mi permise di valutare la
situazione per quello che era, per ciò che stavo vivendo, non secondo uno
schema mentale dettato dalla paura.
Non parlava altre lingue oltre il
francese, così cercai di comunicare con lui come meglio potevo nel mio francese
stentato. Gli raccontai un po’ della mia vita e penso che lui capì che fossi
una sorta di monaca laica che viveva in un centro di meditazione dove la gente
non poteva toccarsi. Non contraddissi molto la sua interpretazione anche perché
non ne avevo gli strumenti. Si fece un’idea tutta sua e mi chiese cosa fosse la
vita senza alcool, fumo, droghe e sesso. Dopo un piccolo momento di tensione in
cui mi resi conto di quanto questi aspetti fossero predominanti nella sua vita,
ritornai alla presenza e gli risposi che in realtà ciò che contava non era ciò
che facesse, ma che questo non danneggiasse se stesso e gli altri, e spostai la
conversazione su quali fossero le cose che avevano davvero valore nella sua
vita. Cominciò a parlarmi di suo figlio e del suo rapporto con lui. Lo cresceva
da solo in quanto la madre lo aveva abbandonato. Emerse il suo lato dolce di
padre affettuoso ed io lo sostenni e incoraggiai in questo aspetto.
Si preoccupò di dove lasciarmi scegliendo
un buon posto e mi chiese se poteva darmi una mano per salutarmi. Fu dolcissimo
e gentilissimo. Lo ringraziai con una forte stretta di mano e proseguii il mio
viaggio.
NIZZA-GENOVA: UNA STANZA TUTTA PER ME
A volte mi capita di sentire l’esigenza di qualcosa e di esprimere dentro di me una sorta di richiesta alla vita e lasciarla lì, nelle sue mani, senza attaccamento o il desiderio che venga realizzata, ma avendo fiducia che ciò di cui abbiamo realmente bisogno sempre giunge a noi (spesso anche più di ciò di cui abbiamo bisogno!), anche se a volte non nella forma che ci aspettiamo o crediamo di volere, ma di certo nella forma più giusta e possibile in un dato momento. Bisogna solo essere disposti ad accoglierlo. Spesso la vita è più saggia di noi.
Fare l’autostop comporta spesso continui scambi con le persone e situazioni che possono essere stancanti.
Stavo tornando dalla Francia all’Italia e
avevo passato tutta la giornata in strada cambiando diverse auto. Ad un certo
punto pensai che sarebbe stato piacevole poter riposare e dormire in un posto
da sola, senza dover dar conto a nessuno. Formulai, quasi senza rendermene
conto, una richiesta interiore e me ne dimenticai.
Mi trovavo in una stazione di servizio nei pressi di Nizza ed era già tardo pomeriggio. Ero in piedi vicino all’uscita per imboccare l’autostrada e, vedendo un furgoncino con due ragazzi, non alzai nemmeno il braccio per fare l’autostop. Di solito evito le situazioni in cui ci sono più uomini. Ma il ragazzo si fermò e mi chiese, in italiano, dove andavo.
Dovevo arrivare in un piccolo paese tra
Toscana ed Emila Romagna, ma vista l’ora sapevo che sarei riuscita al massimo a
raggiungere Genova. Si offrì di portarmi sino a Ventimiglia, così accettai.
L’altro ragazzo scese dal furgone per
prendere lo zaino e metterlo nello scompartimento sul retro. Non disse una
parola quasi intimidito dalla mia presenza. Gli dissi qualcosa, ma non rispose.
Salii sul furgone e l’altro ragazzo mi fece qualche domanda.
Dall’accento subito capii che era
straniero anche se si era presentato con un nome italiano e, avendo cari amici
di origine rumena, mi resi conto che proveniva da li. Visti i tanti pregiudizi
sulla gente straniera pensai che volessero camuffare la loro nazionalità per
non spaventarmi. Magari una ragazza sola non sarebbe salita in auto con due
rumeni. Così gli chiesi di dove fossero rassicurandoli sul fatto che non avevo
pregiudizi perché mi affidavo all’esperienza diretta e diverse volte nella mia
vita avevo stretto rapporti profondi e ricevuto sostegno da persone di
nazionalità diversa dalla mia, in particolare da persone rumene. Poco conta in
realtà quale sia la nazionalità. Quella al massimo può creare distinzioni
culturali superficiali, ma non nell’essenza della persona.
Non parlammo molto durante il viaggio
perché, oltre al fatto che uno dei due ragazzi, stando lì da poco, non aveva
ancora imparato bene l’italiano, io ero davvero molto stanca. Così apprezzai il
silenzio.
La stanchezza mi permise di lasciar andare
quel “senso di dovere” per cui c’è l’idea che se ci viene offerta
qualcosa dobbiamo dare qualcosa in cambio, quando a volte il solo permettere a
qualcuno di aiutarci è un modo per ricambiare. Spesso la gente ha
voglia di dare, di essere d’aiuto e permetterglielo è già di per se un dono.
Non mi sono mai sentita forzata a
intrattenere una conversazione, ma mi è sì capitato a volte di sentire una
sorta di “dovere” ad essere almeno di compagnia. Ma mi accorgo sempre
di più che la sola essenza e presenza realmente presente e consapevole è spesso
già di per se più che abbastanza e che basta essere semplicemente. E
quell’esperienza fu un insegnamento.
Appoggiai la testa al finestrino e rimasi lì nella stanchezza e nella resa del semplice essere.
Superammo Ventimiglia e il ragazzo mi
disse che mi avrebbe portata sino a Genova. Lo ringraziai e continuai nel
silenzio.
Era tardo pomeriggio e cominciò a
diventare buio. Dissi al ragazzo che preferivo che mi lasciasse in una stazione
di servizio prima di entrare nella città perché mi sentivo più sicura a passar
lì la notte che in una città. Non mi sembrava d’accordo. Mi diede il suo iPad
dicendomi di provare a cercare un ostello, ma si spense subito dopo perchè
aveva la batteria scarica. Gli ribadii che per me non c’erano problemi e che
preferivo così, ma sembrò non ascoltarmi.
Eravamo molto vicini a Genova e non dava
segni di fermarsi in una stazione di servizio. Fu lì che mi arresi.
Ero talmente stanca che sentii una sorta
di distacco dal mio corpo e da ciò che io volevo fare, dalla necessità di
controllare la situazione, in quel momento non mi interessava più. Lo vidi
imboccare l’entrata della città e sentii che se avesse voluto farmi qualcosa di
male o chissà che, non mi importava, lasciai andare ogni attaccamento e con la
resa venne una sorta di senso di pace. Ero troppo stanca per qualsiasi
reazione. Mi affidai alla vita sentendo che non avevo altra scelta.
Si fermò in una strada, fece scendere
l’amico e continuò a girare tra le strade della città. Si fermò davanti ad un
Hotel e scese, mi disse di scendere con lui. Chiese per una stanza, ma era
tutto pieno. Così cercò ancora. Cominciai a dirgli di no, che non avevo bisogno
di un Hotel, ma lui sembrava non ascoltare. Entrò in un altro e gli dissero che
c’era una sola stanza matrimoniale libera e che quindi costava di più.
Continuai a dirgli di no, di lasciar stare, ma lui mise i soldi sul bancone e
pagò la stanza. Uscimmo fuori per prendere lo zaino nel furgoncino.
Mi fermai davanti a lui in un misto di
stupore e incredulità e lo abbracciai. I suoi occhi erano cambiati, non era più
il ragazzo che in quei pochi scambi verbali che avevamo avuto durante il viaggio
sembrava interessato al divertimento, le uscite serali e i soldi, ma era un
uomo gentile e premuroso, vedevo la profondità e dolcezza dei suoi occhi,
vedevo l’apertura del suo cuore a dare senza aspettarsi nulla in cambio.
Quando lo abbracciai ebbi la sensazione
che non avesse mai condiviso quel gesto fisico con una donna in maniera pura e
disinteressata, un abbraccio di gratitudine. Esitò un piccolo momento prima di
lasciarsi andare ad accogliere, accettare e ricambiare quell’abbraccio. Lo
guardai nei suoi occhi che erano diventati lucidi e gli dissi di non sapere
come ringraziarlo. Lui mi rispose che non dovevo passare la notte fuori, che
avevo bisogno di riposare e che l’indomani avrei dovuto visitare la città che a
suo parere era bellissima.
Lo abbracciai continuando a ringraziarlo e
ci separammo.
Quando alla reception aveva chiesto per
una stanza, ebbi la sensazione che il receptionist aveva avuto dei pregiudizi
oltre ad aver frainteso la situazione, così andai da lui e gli raccontai ciò
che era accaduto. Il racconto di un’esperienza positiva è un grande
antidoto ad un pregiudizio o una paura.
Poi salii in camera. Appena mi rilassai
dalla tensione e l’energia del momento vissuto cominciai a piangere di
gratitudine. Sentivo gratitudine per tutto, per la vita, per quell’uomo, per
essere andata oltre le paure e aver permesso a me stessa di vivere
quell’esperienza, per ogni piccolo dettaglio presente nell’universo.
Quando mi calmai mi ritornò alla mente la
richiesta che avevo fatto alla vita quel pomeriggio. Sorrisi rendendomi conto
che senza far nulla e senza volerlo, mi ritrovavo in una camera tutta per me.
ITALIA-FRANCIA: PEDRO IL CAMIONISTA
Alcuni amici mi lasciarono in una stazione di servizio fuori Bologna dove una giovane coppia con una bambina mi offrì un passaggio sino ad Alessandria. L’uomo di professione era camionista così, dopo avergli detto che mi dirigevo nei pressi di Montpellier, chiamò alcuni dei suoi colleghi per vedere se qualcuno poteva offrirmi un passaggio, ma gli orari non coincidevano. Mi offrirono anche ospitalità a casa loro, ma era ancora mattina e sentivo di voler continuare. Mi lasciarono così, deviando dal loro percorso, in una stazione di servizio in direzione della costa ligure. Furono gentilissimi.
A volte alcune cose arrivano nella nostra
vita solo per preparare il terreno affinché qualcos’altro accada. Mentre facevo l’autostop si fermò
una macchina offrendomi un passaggio per andare poco più avanti. Quando
non ci sono certezze rassicuranti intorno verrebbe quasi voglia di accettare
qualsiasi cosa ci venga offerta, la prima situazione che ci sembri rassicurante
anche se non è la più adatta a noi. Solo la pratica della fiducia e
della pazienza ci permettono di ascoltare il nostro sentire, di non aver paura,
di confidare che la vita ha già pronta la soluzione più adatta a noi in un
certo momento.
Titubai un attimo davanti a quell’offerta,
ma ringraziai e decisi di non accettare. Non mi conveniva andare poco più
avanti in un posto uguale a quello in cui mi trovavo.
Nel fermarsi, la macchina aveva bloccato
l’uscita di un camion che si era fermato ad aspettare per potersi muovere. Non
me ne ero nemmeno accorta. Solo quando la macchina andò via alzai lo sguardo e
incrociai quello del camionista che stava aspettando. Con il braccio mi fece
cenno di salire. Non ero sicura mi stesse offrendo un passaggio, ma d’istinto
andai. Salire su un camion con uno zaino sulle spalle è come scalare una
montagna.
Non sapevo con che lingua cominciare a
parlare, di solito guardo la targa per scoprire la nazionalità, ma era accaduto
tutto all’improvviso che non ci feci caso. Optai per l’italiano ma, allo
scoprire che era portoghese, passai allo spagnolo. Mi appurai che mi stesse
offrendo realmente un passaggio e appoggiai lo zaino sul letto dietro i sedili
e mi misi a sedere comoda. Andava verso la Spagna, era per me il passaggio
perfetto.
Dopo aver sistemato tutto e l’iniziale
confusione lo guardai bene in viso. Fu allora che mi chiesi come mi fosse
venuto in mente di salire su quel camion.
Era un uomo sulla cinquantina, calvo, con
una canotta che gli dava un’apparenza un po’ rozza, i tratti del viso rudi e le
folte sopracciglia unite. Se mi fossi fermata a quell’impressione probabilmente
sarei saltata giù dal finestrino. Ma andai subito oltre e cominciai a parlare
con lui.
Scoprii che amava la montagna, mi
descrisse ciò che sperimentava nella natura e ne emerse un uomo capace di
apprezzare la pace e il silenzio della natura, di sentire quella connessione,
emerse il suo lato più profondo.
Mi raccontò che non da molto la moglie lo
aveva lasciato andando via di casa senza dire nulla. Compresi che la cosa lo
toccava ancora. Così cercai di confortarlo dicendogli che spesso ciò
che ci accade di negativo, o meglio che noi giudichiamo come tale, è una
maniera che ha la vita per darci ciò di cui abbiamo realmente bisogno, anche se
al principio non riusciamo a vederlo.
Dietro quell’aspetto rude e un po’ rozzo
si nascondeva un uomo sensibile, profondo e divertente. Risi un sacco lungo il
viaggio ai suoi racconti e per il suo modo di scherzare ed essere sorpreso e
interessato ad alcune mie scelte. Parlammo a lungo e di cose profonde e
importanti. Era sinceramente interessato e toccato.
Mi fece sorridere il fatto che avesse una
specie di piccolo scompartimento per cucinare e mi preparò lui stesso una cena
vegetariana. Dormii in uno dei due letti dietro i sedili.
Il giorno dopo mi confessò che non riuscì
a dormire all’idea che una giovane ragazza dormisse così vicina, ma non si
sarebbe mai permesso a farmi nulla di male o un’avance. Anzi, al mattino quando
ricevetti una chiamata di mia madre mi chiese di parlare con lei. La rassicurò
dicendole che “c’è ancora gente buona nel mondo”. Fu dolcissimo.
Aveva abbastanza tempo per cui uscì fuori
dal suo percorso e prese una statale parallela all’autostrada per potermi
accompagnare a pochi chilometri dal paesino dove dovevo andare.
Ci scambiammo il numero e ci salutammo.
Mi scrisse diverse volte dicendomi che
dopo il nostro incontro aveva cominciato a mangiare meno carne, fumare meno e
che gli veniva difficile ammazzare le mosche che gli entravano nel camion.
Durante il nostro viaggio l’avevo richiamato scherzosamente diverse volte
quando tentava di uccidere un insetto, e lui ne era divertito. Qualcosa, una
piccola consapevolezza, si era risvegliata. Io non avevo fatto nulla se non
mostrargli quel seme che era già presente in lui e in tutti e che dobbiamo solo
coltivare.
ASTORGA-LOGROÑO: IMPARARE AD ACCETTARE
CIO’ CHE E’
Era pieno inverno, così cominciai a fare l’autostop di mattina presto per arrivare prima che facesse buio.
Alla rotonda in cui mi ero posizionata la
gente mi guardava in modo strano. L’unico a fermarsi fu un uomo marocchino che
andava poco più avanti, così accettai. Mi lasciò in un posto in cui fermarsi
era un po’ difficile il che riduceva drasticamente la possibilità di trovare un
passaggio. Ma una macchina si fermò.
In realtà l’uomo si era fermato per
parlare al telefono, ma alla fine acconsentì a darmi un passaggio. Mi prese poi
un ragazzo che mi accompagnò in una statale parallela all’autostrada ritenendo
che fosse un buon posto.
In realtà non lo era.
La presenza dell’autostrada non a
pagamento rendeva praticamente quasi inutilizzata quella statale che non era
altro che la via di accesso a piccolissimo paesini quasi disabitati tagliati
fuori dall’autostrada. Non è che non si fermasse nessuno, e che quasi non
passavano auto! Mi ritrovavo sola, in pieno inverno in una strada deserta in
mezzo al nulla. La mia mente cominciò a diventare negativa.
L’origine della negatività era dovuta al
fatto che le cose non andavano come volevo o come io pensavo dovessero andare e
per il fatto che mi stavo preoccupando per un futuro, un problema che ancora
non c’era. Non
riuscivo a trovare un passaggio, ma potevo approfittarne per camminare un po’.
In realtà, osservando il momento presente tutto andava bene. Era
una giornata di sole per cui camminare poteva risultare anche piacevole. Non
c’era un reale problema nel momento presente, era ancora abbastanza presto, per
cui avevo tempo prima che diventasse scuro, lo zaino non era pesante e la
strada, tutta in pianura, costeggiata da paesaggi suggestivi.
In realtà il non trovare un passaggio in
quel momento poteva essere un dono che mi permetteva di godere di quel
paesaggio e di quel momento e camminare per me è sempre stata una grande
meditazione.
E’ incredibile vedere come le cose
cambiano quando smettiamo di giudicarle e le accogliamo, accettiamo per ciò che
sono.
Cominciai così a camminare e il camminare
mi aiutò a liberarmi della negatività e accettare ciò che era, oltre che a
sentire meno il freddo! Nel momento in cui mi arresi e accettai le cose così
com’erano la vita mi offrì una soluzione.
Passò una macchina, ma nonostante alzai il
dito mostrando di volere un passaggio, non si fermò. Andò poco più avanti e
fece inversione, mi superò, svoltò ancora e si fermò al mio fianco. Ci aveva
ripensato e decise di offrirmi un passaggio sino all’imbocco dell’autostrada.
Li si fermò un signore molto anziano che
mi chiese dove andassi. Rimase lì a pensare e ripensare, poi mi disse di salire
in auto perché mi avrebbe portata in un posto migliore. Entrò in autostrada
solo per accompagnarmi in una stazione di servizio dove mi sarebbe stato più
semplice trovare un passaggio, e andò via. Fu lì che incontrai un uomo che
andava diretto a Logroño.
Nel viaggio sorrisi allo scoprire che era
partito proprio da Astorga qualche ora dopo di me.