LASCIAR SORGERE LE COSE ( del monaco AJAHN SUMEDHO )




Prima di lasciar andare le cose, dovete portarle a un livello di perfetta coscienza. Lo scopo della meditazione è permettere che il subconscio raggiunga la coscienza. Si permette alla disperazione, alla paura, all’angoscia, alla repressione e alla rabbia di diventare coscienti.

Molta gente tende a inseguire ideali molto alti e si sente frustrata quando si accorge di non esserne all’altezza, di non essere buona come dovrebbe, di non essere calma come dovrebbe: tutti questi 'dovrebbe' o 'non dovrebbe'... Sentiamo il desiderio di liberarci delle cose negative e questo desiderio ha una nobile giustificazione: è senz'altro giusto eliminare cattivi pensieri, rabbia, e gelosia, perché una brava persona ‘non dovrebbe provare cose tanto negative’. In tal modo nasce il senso di colpa.

Riflettendo, portiamo a livello di coscienza il desiderio di diventare quell’ideale e il desiderio di liberarci di ciò che è negativo. Solo così possiamo 'lasciar andare', in modo che invece di diventare una persona perfetta, lasciamo andare il desiderio di diventare tali. Ciò che rimane è la mente pura. Non c’è bisogno di diventare una persona perfetta perché è nella mente pura che la gente perfetta nasce e cessa.

E’ facile comprendere la cessazione a livello intellettuale, ma realizzarla può essere difficile poiché comporta lo stare con qualcosa che pensiamo di non poter sopportare. Per esempio, quando cominciai a meditare, mi ero fatto l’idea che la meditazione mi avrebbe reso più gentile e felice e mi aspettavo di sperimentare stati mentali meravigliosi. Invece, mai nella mia vita provai tanta rabbia e avversione come nei primi due mesi. Pensai: "E’ terribile, la meditazione mi ha reso peggiore". Ma poi contemplai perché stavo esprimendo tanto odio e avversione e realizzai che avevo trascorso gran parte della mia vita scappando da quei sentimenti. Ero un lettore accanito, portavo con me sempre dei libri. Ogni volta che sentivo paura o rabbia, prendevo un libro e mi immergevo nella lettura; oppure fumavo o mangiavo qualcosa. Mi ero fatto l’opinione di essere una persona gentile che non odia nessuno, per cui reprimevo ogni sensazione di avversione o odio.
Per questo i primi mesi come monaco furono molto difficili: cercavo sempre qualcosa con cui distrarmi, poiché con la meditazione avevo cominciato ad affrontare tutto ciò che per anni avevo cercato di dimenticare. Mi tornavano alla mente fatti dell’infanzia e dell'adolescenza; poi quell’odio e quella rabbia diventarono così espliciti che stavano per sommergermi. Qualcosa in me però mi diceva che dovevo sopportarli e farli uscire allo scoperto. L’odio e la rabbia che avevo soppresso in trenta anni si manifestarono in tutta la loro forza, poi furono come bruciati dalla consapevolezza e cessarono: attraverso la meditazione stava avvenendo un processo di purificazione.

Per permettere che questo processo si realizzi, bisogna essere pronti a soffrire. Ecco perché sottolineo l’importanza della pazienza. Dobbiamo aprire la mente alla sofferenza, perché solo abbracciando la sofferenza, questa cessa. Quando soffriamo, fisicamente o mentalmente, avviciniamoci a questa sofferenza, apriamoci completamente ad essa, diamole il benvenuto, concentriamoci su di essa, lasciandola essere ciò che è. Questo significa essere pazienti e sopportare il disagio di una certa situazione. Piuttosto che sfuggire ai sentimenti di noia, di disperazione, di dubbio, di paura, cerchiamo di sopportarli, perché solo comprendendoli, cesseranno.

Se non permetteremo alle cose di cessare, creeremo nuovo kamma, il quale a sua volta rinforzerà le nostre abitudini. Abbiamo l'abitudine di attaccarci ad ogni cosa che sorge e a lasciar proliferare i pensieri intorno ad esse, complicando in tal modo ogni situazione. Continuiamo così a ripetere per tutta la vita lo stesso atteggiamento; ma, inseguendo incessantemente i nostri desideri e le nostre paure, non possiamo certo aspettarci la pace. Se invece contempliamo i desideri e le paure, essi non ci inganneranno più; d’altronde dobbiamo conoscere ciò che dobbiamo lasciar andare. Il desiderio e la paura devono essere conosciuti come impermanenti, insoddisfacenti e senza un sé. Devono essere osservati e penetrati in modo che la sofferenza che contengono venga bruciata.

E’ molto importante, a questo punto, stabilire la differenza tra cessazione e annullamento – cioè il desiderio che sorge nella mente di liberarsi di qualcosa. La cessazione è la fine naturale di tutto ciò che sorge. Non è quindi un desiderio! Non è qualcosa che si crea nella mente, ma è la fine di ciò che è cominciato, la morte di ciò che è nato. Quindi, la cessazione non ha un ‘sé’ – non viene dall’impulso di ‘doversi sbarazzare di qualcosa’, ma avviene quando noi permettiamo che ciò che è sorto, cessi. Per farlo, si deve abbandonare la brama, lasciarla andare! Abbandonare significa lasciar andare, non rifiutare o cacciar via.
Con la cessazione, sperimentate nirodha – cessazione, vuoto, non-attaccamento. Nirodha è un’altra parola per Nibbana. Quando avete lasciato andare una cosa e le avete permesso di cessare, allora rimane solo la pace.

Potete sperimentare questo genere di pace nella meditazione. Quando lasciate andare il desiderio, ciò che rimane nella mente è una gran pace; ed è una vera pace, la non-morte. Conoscendo le cose 'così come sono', realizzate nirodha sacca, la Verità della Cessazione, in cui non c’è un sé, ma solo consapevolezza e chiarezza. La vera beatitudine è questa consapevolezza tranquilla e trascendente.
Se non lasciamo andare permettendo che avvenga la cessazione, rischieremo di partire da assunti che noi stessi ci costruiamo, senza neanche sapere ciò che stiamo realmente facendo.

Talvolta, solo con la meditazione cominciamo a capire come la paura o la mancanza di fiducia in sé, nascano da esperienze vissute nell’infanzia. Ricordo che da ragazzo avevo un carissimo amico che all’improvviso mi divenne ostile e mi respinse. Ne rimasi sconvolto per mesi e la mia mente ne ricevette un’impressione indelebile. Solo attraverso la meditazione realizzai come quel piccolo incidente avesse condizionato il mio rapporto con gli altri; avevo sempre avuto una tremenda paura di essere rifiutato, ma non ci avevo mai pensato, fino a quando non ne divenni consapevole con la meditazione. La mente razionale sa che è ridicolo continuare a pensare alle tragedie dell’infanzia. Ma se queste continuano a irrompere nella coscienza anche da adulti, vuol dire che cercano di dirvi qualcosa circa gli assunti e i pregiudizi su cui avete costruito la vostra personalità.

Quando, durante la meditazione, sentite sorgere ricordi ossessivi, non cercate di reprimerli, ma accettateli pienamente nella coscienza, e poi lasciateli andare. Se vi riempite la giornata in modo da evitare di pensarci, le probabilità per essi di arrivare alla coscienza sono minime. Vi impegnate in un'infinità di cose, vi tenete occupati, in modo che queste ansietà e queste paure senza nome non diventino mai consce. Ma che succede invece quando lasciate andare? Quell’ossessione, quel desiderio si muove – e si muove verso la cessazione. Finisce. E allora avrete l’intuizione della cessazione del desiderio. Infatti il terzo aspetto della Terza Nobile Verità è: "Si è realizzata la cessazione".


IMPARARE A RICEVERE



BISOGNI E DESIDERI
Quando cominciai a vivere sul cammino di Santiago non avevo molti soldi, ma non mi feci spaventare. 
Mi resi conto che l’idea che non ci fossero abbastanza soldi fosse una convinzione radicata non reale, un condizionamento, una paura, una scusante dell’ego per non renderci liberi e fare ciò che realmente sentiamo. Non sono mai i soldi il reale problema. 
Ebbi la conferma che quando siamo allineati al nostro essere, quando facciamo ciò che sentiamo davvero, quando agiamo con il cuore aperto e libero dall’interesse personale, la vita ci sostiene affinché continuiamo a farlo.
Naturalmente avrei potuto trovare un modo per procurarmi più soldi, avrei potuto lavorare, chiederli alla mia famiglia, ma colsi invece l’occasione come un’opportunità di sfida e apprendimento facendola diventare un modo per praticare l’umiltà, per non lasciarmi controllare dai desideri, apprezzare altre cose, aprirmi, permettere alla gente di aiutarmi e ovviamente praticare la fiducia.
Una frase mi accompagnò in questo percorso:
“Sei ricco se hai abbastanza denaro per soddisfare i tuoi desideri. Ma ci sono due modi per essere ricchi: puoi guadagnare, ereditare, prendere in prestito, mendicare o rubare il denaro che ti serve per soddisfare i tuoi desideri. Oppure puoi coltivare uno stile di vita semplice, con pochi desideri. In questo modo avrai sempre denaro a sufficienza.
…bisogna conoscere la differenza tra desideri e bisogni. Noi abbiamo innumerevoli desideri, ma i veri bisogni sono pochi. La totale attenzione a ogni momento è il vero piacere. L’attenzione non richiede denaro, l’unico investimento è l’addestramento.
Il segreto della felicità non sta nel volere molto, ma nel gioire di poco.”
Decisi così, o meglio mi venne spontaneo e naturale, coltivare uno stile di vita con pochi desideri e nella fiducia che i miei reali bisogni sarebbero stati soddisfatti.
Quando alcune cose non arrivano o non possiamo permettercele è che spesso vogliamo più di ciò di cui abbiamo bisogno. E il fatto che ci sia un così grande squilibrio tra coloro che hanno troppo e coloro che non hanno nulla è dovuto proprio all’incapacità di molti essere umani di riuscire a controllare i propri desideri che diventano sempre più numerosi e marcati quando non siamo allineati con il nostro essere, quando non esprimiamo realmente noi stessi, quando non mettiamo i nostri doni al servizio del mondo. 
Finché c’è un contrasto in un senso, ci sarà contrasto nel senso opposto, è il modo che ha l’universo per equilibrarsi. Finché ci saranno persone che hanno troppo, ci dovranno essere persone che hanno poco. 
Per questo coltivare nel proprio piccolo uno stile di vita semplice, disciplinarsi, imparare a lasciare andare delle cose di cui non abbiamo bisogno solo perché siamo attaccati ad esse, e ascoltarsi è un grande contributo per equilibrare il mondo, non c’è necessariamente bisogno di donare grandi cifre, sarà necessario solo finché ognuno non comincia il cambiamento nel proprio piccolo.
Già mentre facevo il cammino mi resi conto che alcune cose come prendere il caffè al mattino, comprare qualcosa quando ci si trovava in un bar in compagnia, erano solo abitudini dettate dalle circostanze o frutto di desideri e non reali necessità. 
E’ difficile che ci si chieda “ho davvero voglia di questo, il mio corpo ne ha davvero bisogno, o è solo che mi trovo in questa circostanza o è un desiderio o ancora la paura che se in futuro dovessi avere un bisogno non possa essere soddisfatto?”. E’ come bere un bicchier d’acqua quando in realtà non si ha sete. 
Quante volte nella vita quotidiana violiamo il nostro corpo riempiendolo di cose di cui non ha bisogno solo per noia, desiderio, paura?
Così decisi di imparare ad ascoltare il mio corpo e cercare di essergli più fedele, ovviamente è una pratica che può richiedere una vita e non è necessario essere così estremi, bastano davvero delle piccole cose.
L’atto di ascolto e di rinuncia viene ripagato da una maggiore libertà.
Se riuscivo a controllare alcuni desideri e ad aver fiducia non avrei avuto bisogno di privarmi della libertà o fare cose che andassero contro la mia natura e il mio essere per ottenere cose di cui non avevo un reale bisogno. Ma il tutto avvenne con naturalezza.
Oltretutto rinunciare a certe cose mi permise di dar valore e scoprirne altre. 
Avere pochi soldi in quel momento fu uno stimolo e un dono che mi permise di coltivare altri aspetti della vita.
Ricordo che quando tornai dal primo cammino e contattai alcune persone per incontrarci, tutti mi dicevano “vediamoci in questo bar” o “andiamo a mangiare qualcosa”, ed io rispondevo “perché non andiamo a fare una passeggiata?” e tutti rimanevano stupiti e apprezzavano il riscoprire la gioia del passeggiare. 
Siamo così presi da mille stimoli, sempre alla ricerca di nuovo “materiale per la mente” per distrarci, allontanarci da noi stessi, da dimenticare la bellezza delle cose semplici come una passeggiata che, oltre a creare un benessere fisico, ci permette di entrate in contatto con noi stessi e con la natura e di far emergere le nostre reali esigenze. E’ incredibile il grande potere che hanno le piccole cose.
Un’altra cosa di cui mi resi conto fu che più siamo realmente presenti in ciò che facciamo, più il nostro agire risponde alle esigenze del nostro essere più profondo, ci permette di esprimere noi stessi, più riscopriamo la bellezza che c’è dentro di noi e anche nello star con noi stessi, nel semplice essere, più automaticamente i desideri si riducono perché ciò che siamo o che facciamo ci riempie così tanto che non c’è più nessun vuoto da colmare. 
Quindi un buon inizio sarebbe quello di cominciare a piccoli passi a riscoprirci e fare ciò che davvero ci riempie e fa star bene.

IMPARARE A RICEVERE
Una cosa che dovetti imparare fu quella di ricevere. Per continuare a fare ciò che facevo era necessario un totale atto di abbandono e umiltà.
Già la vita mi aveva presentato varie situazioni, ma quella che ebbe più impatto avvenne i primi tempi in cui vivevo sul cammino.
Ero volontaria in un albergo donativo per pellegrini. Vivevo con altre persone in una grande vecchia casa che ci era messa a disposizione dal proprietario dell’albergo.
Le mie giornate erano piene e intense. Al mattino aiutavo a pulire l’albergo e mi occupavo dell’accoglienza dei pellegrini, in maniera libera e con gioia, era un po’ come restituire al cammino ciò che mi aveva dato e sostenere altri pellegrini in quel processo che per me era stato tanto importante. Oltre al fatto che avevo la possibilità di incontrare e condividermi profondamente con gente di tutto il mondo.
Studiavo lo spagnolo con un dizionario che mi avevano prestato, le erbe medicinali e, a volte, aiutavo degli amici nella ristrutturazione di una casa.
Avevo imparato ad arrangiarmi con cinque, dieci euro a settimana con cui riuscivo a mangiare non solo io, ma in alcuni casi ad offrire anche agli altri. Lo stare con poco era un grande stimolo.
Imparai a fare il pane invece di comprarlo, la pasta fatta a mano, mille modi per fare cose buone e sane con poco. Per vestirmi usavo i vestiti che lasciavano i pellegrini.
Avevamo un’intera stanza in cui conservavamo le cose che erano state dimenticate o quelle che i pellegrini avevano lasciato dopo essersi resi conto di non averne bisogno e che avere uno zaino leggero era più importante. 
C’era una bellissima frase su un muro lungo il cammino che diceva: “ciò che non serve, pesa”. 
Cucivo e modificavo ciò che non mi stava riscoprendo anche quest’arte.
Il proprietario dell’albergo con cui si era creata una connessione e un rapporto di affetto paterno, nonostante ancora non parlassi bene lo spagnolo, quindi senza molta comunicazione verbale, mi chiedeva spesso, quando andava a fare la spesa, se avessi bisogno di qualcosa, ma io continuavo a rispondere di no.
Se mi mancava o volevo qualcosa mi chiedevo se ne avessi davvero bisogno in quel momento, se non era una necessità imminente aspettavo con pazienza.
Ricordo che avevo dei sandali che non mi piacevano e volevo delle infradito. Ovviamente, non essendo necessarie non andai a comprarle. Facevo resistenza a indossare i sandali, finché un giorno mi resi conto che ciò che in realtà mi preoccupava era che non mi stessero bene. Quando lo realizzai cominciai a notare che non erano poi così male e che avrei potuto indossarli.
Quello stesso giorno, mentre stavo accogliendo un pellegrino, il proprietario dell’albergo venne, mi tolse i sandali e mi mise ai piedi delle infradito. Appurò che il numero fosse giusto, tagliò l’etichetta e andò via. 
Rimasi allibita. Non avevo detto nulla a nessuno. Ciò che accadde fu che quando avevo accettato le cose così com’erano e avevo lasciato andare l’attaccamento a come apparivo, la vita mi aveva fatto un regalo.
Più stavo li più amavo ciò che facevo e mi sentivo allineata al mio essere.
Tuttavia, nonostante riuscissi a cavarmela con molto poco senza farmi mancar nulla di indispensabile e facendo anche cose in più che sentivo di fare, arrivò un momento in cui rimasi con circa dieci euro.
Il problema non era ancora presente realmente e a volte è necessario arrivare al limite prima che la vita ci fornisca una soluzione, e quel limite è un’opportunità per guardare in faccia le nostre paure, stare con esse e accorgerci che non sono reali. E se lo oltrepassiamo vuol dire che quello è parte del nostro apprendimento o è necessario per smuovere noi stessi e le coscienze altrui.
Dieci euro mi sarebbero bastati ancora per una o due settimane e tutto ciò che potevo fare in quel momento era continuare a fare ciò che stavo facendo perché mi piaceva davvero e lo facevo con il cuore e in maniera disinteressata.
Spesso tutto ciò che dobbiamo fare è stare nel presente e dare alla vita il tempo di cui ha bisogno o il tempo di cui noi abbiamo bisogno per imparare la nostra lezione. Un amico mi ricordava spesso che “l’universo ha i suoi tempi” e che noi dobbiamo rispettarli.
Non dissi nulla a nessuno e continuai nella mia vita quotidiana di quel momento. Ovviamente una parte di me era preoccupata e tesa, c’è un passaggio tra il sapere certe cose e riuscire ad applicarle nella vita quotidiana, c’è un passaggio che richiede tempo, consapevolezza e pratica. Ma un’altra parte di me riusciva a rimanere attenta e presente.
Ebbi una settimana particolarmente intensa in cui più spesso e più a lungo ero andata ad aiutare i miei amici nella ristrutturazione della casa.
Una sera andai in camera e, nello spostare le lenzuola per mettermi a letto, sbucò qualcosa da sotto il cuscino. Lo spostai e vidi che erano dei soldi. Era incredibile, non capivo chi avesse potuto metterceli. La mia sorpresa era incrementata dal fatto che non avevo detto nulla a nessuno rispetto al fatto di aver pochi soldi. Non era molto, ma per me era più che abbastanza per continuare a fare ciò che stavo facendo.
Passai la notte piena di energia e avvolta in un senso di magia e gratitudine, ma non per il fatto di avere dei soldi, non mi importava di tenerli o meno, ma per il senso di sorpresa, tutto era arrivato al momento giusto, e per il fatto che la vita mi stava confermando ciò che sentivo, che quando siamo sul nostro cammino e abbiamo fiducia ci viene incontro per sostenerci.
Continuavo a chiedermi chi avesse potuto metterceli, e mi faceva sorridere il modo dolce e delicato di farlo.  La casa in cui vivevamo era sempre aperta, non c’era una chiave, quindi poteva entrare chiunque. 
Ovviamente il primo pensiero andò ai miei amici dato che avevo lavorato tanto con loro quella settimana. Così al mattino andai da loro dicendogli che non c’era bisogno, che li avevo aiutati volentieri perché sentivo di farlo. Ma mi dissero di non esser stati loro. 
Pensai un po’ e andai dal proprietario dell’albergo. Vedendolo dall’esterno sembrava una persona rude, molto semplice e poco profonda. Era invece dotato di una grande sensibilità, riusciva a capire ciò che sentivo o di cui avevo bisogno senza dire nulla, e questo accadeva non solo con me. In dei piccoli gesti che faceva si poteva comprendere e vedere la sua bontà e disponibilità. Inoltre era onesto e non cercava di nascondersi dietro un’apparenza, ma si mostrava per ciò che era. Sentivo un grande affetto per lui.
Gli chiesi se mi avesse lasciato qualcosa sotto il cuscino, ma lui rispose di no. Lo guardai negli occhi e gli dissi che era l’unica persona possibile e che non ero lì per avere dei soldi, ma per offrire un servizio agli altri. Lui mi guardò con dolcezza e rispose “anch’io”.
Quelle semplici parole mi risvegliarono. Mi resi conto che eravamo tutti in un circolo di scambi in cui ognuno dava e apportava a modo suo e che era necessario imparassi a ricevere per continuare a fare ciò che stavo facendo. 
Mi resi anche conto che spesso noi diamo a qualcuno e la vita ci ricambia attraverso qualcun altro, che a volte non c’è bisogno di un dare concreto per ricevere, che le cose non sono cosi lineari come la mente immagina, non seguono uno schema prestabilito ma hanno di sottofondo delle leggi universali che creano una sorta di equilibrio. 
Per questo è importante imparare a dare senza aspettarsi nulla in cambio, neanche che l’altra persona sperimenti un miglioramento o un benessere dovuto al nostro atto di dare, ma dare solo per la gioia di farlo e senza aspettarsi nulla di tangibile o visibile. Magari aiutando o sostenendo qualcuno gli daremo la possibilità di farlo in futuro con qualcun altro. Così la ricompensa, se deve essercene una, non ci giunge direttamente, ma attraverso il benessere di un’altra persona, questo crea equilibrio. Oppure ci può capitare di dare a qualcuno in una situazione e ricevere da qualcun altro quando ne avremo bisogno. Per questo invece di lamentarsi per il fatto di non ricevere da quella persona da cui ci aspettiamo di ricevere, è più salutare rimanere vigili e attenti alle possibilità che la vita ci offre in un dato momento altrimenti nell’attesa di soddisfare un’aspettativa rimaniamo ciechi e manchiamo ciò che la vita ci offre. E’ come aspettarsi di ammirare un bel paesaggio guardando un muro quando invece la finestra è alle nostre spalle.
In quel momento quell’uomo era stato uno strumento attraverso cui la vita mi fornì ciò di cui avevo bisogno ed io sentivo un profondo affetto e gratitudine nei suoi confronti.
Nonostante ciò e le mie consapevolezze, una parte di me di sentiva un po’ a disagio nell’accettare e non degna di ciò che stavo ricevendo. Ma decisi di accogliere ciò che la vita mi stava offrendo e mi ripromisi che, qualora mi fossero arrivate delle cose, dei soldi, li avrei usati solo per ciò che mi era realmente necessario e che sostenesse il mio cammino di crescita e servizio e non per soddisfare dei desideri. Era un modo per purificare non solo me, ma anche chi mi sosteneva e il sistema in generale. Un modo per apportare il mio piccolo granello di sabbia.
Dopo qualche giorno la vita mi forni una risposta e uno strumento per lavorare su quel senso di disagio e di non essere degna.
Venne nell’albergo una donna italiana che faceva il cammino in bici con suo figlio. La sera parlammo un po’ toccando alcuni temi importanti, ma senza allungarci troppo nella conversazione. Al mattino mi aspettò e quando arrivai mi porse un libro dicendomi “ora so perché l’ho portato, perché dovevo darlo a te”. Mi sembrò così strano da parte di quella donna con cui non avevo nemmeno parlato più di tanto. Ovviamente lo accettai.
Quel libro rispose non solo a tante domande e mi chiarì alcune cose che stavo vivendo in quel periodo, ma mi offrì una riflessione su quel senso di disagio:
“Ho conosciuto moltissime persone che si preoccupano degli altri, che sono estremamente generose nel momento di dare e che provano un piacere profondo quando qualcuno si rivolge a loro per un consiglio o un aiuto. Fin qui nessuna sorpresa, è davvero bello soccorrere il prossimo.
Al contrario conosco pochissimi individui capaci di ricevere, e questo anche quando le cose gli vengono offerte con amore e generosità. E’ come se l’atto di accettare li facesse sentire inferiori, come se il fatto di dipendere da qualcuno risultasse indegno. E allora gli capita di pensare: “se mi viene data qualcosa è perché non sono in grado di ottenerlo con i miei sforzi”, oppure “le persone che mi offrono tutto questo lo rivorranno con gli interessi”, o peggio ancora “non merito il bene che vogliono farmi”.
Ciò non vuol dire accettare tutto ciò che ci viene offerto anche quando non ne abbiamo bisogno o in alcune circostanze non interrogarsi sulla reale motivazione che spinge qualcuno a dare, non significa che in alcuni casi non sia necessario rifiutare, significa chiedersi cos’è che ci impedisce di accogliere qualcosa quando ne abbiamo bisogno, cosa ci impedisce di lasciar che la vita si prenda in qualche modo cura di noi, cos’è che blocca il nostro fluire o ci crea disagio.
Bisogna rimanere attenti e aperti per vedere i mille modi in cui la vita ci fornisce risposte e mezzi per proseguire sul nostro cammino. Bisogna rimanere aperti a rompere i nostri schemi e condizionamenti e lasciarci sorprendere.




UNA MANO SUL CUORE


Cio' che mi colpì di quel ragazzo appena conosciuto e con cui mi sarei ritrovata a viaggiare insieme, fu un gesto che fece. 
Nel mettere lo zaino nel portabagagli avevo battuto forte la testa al portellone. 
Sull'autobus, seduta accanto a lui, mi toccai la zona dolorante. Senza dire nulla alzò il bracciò e posò la mano sulla testa toccando la ferita che si era gia' gonfiata, e la lasciò li per qualche minuto, rimanendo in silenzio e con gli occhi chiusi. 
Mi sentii un po' in imbarazzo sotto quel tocco, lui invece aveva un'espressione tranquilla e serena, come se fosse la cosa più naturale del mondo posare la mano sulla testa di una sconosciuta che si era appena causata un bel bernoccolo. 
Non capivo se avesse dimenticato di aver posato la mano sulla mia testa, se la botta mi avesse causato anche delle allucinazioni o se in qualche modo mi stesse come curando. 
Fatto sta che mi arresi a quel tocco, non mi ribellai né pronunciai una parola, nemmeno diedi spazio alla mente di costruire interpretazioni di ciò che stava accadendo, semplicemente rimasi li, fluendo con quel momento di magia, e sentii un'energia bella, qualcuno si stava prendendo cura di me ed era piacevole, dolce, delicato. E il dolore passo' in fretta.

Il dolore passa piu' rapidamente se c'e' qualcuno a posare una mano sul cuore. Senza parlare. L'unica cosa di cui abbiamo bisogno nel dolore e' un gesto delicato, un abbraccio, perche' basta l'amore a spingerci a reagire rispettando i nostri tempi.
Spesso si ha paura della sofferenza, non solo della nostra, ma anche di quella degli altri. Allora ci dimentichiamo di abbracciare e forziamo le persone a reagire, rivediamo in loro una parte di noi o abbiamo paura di essere contagiati da quel dolore. Ma per abbracciare abbiamo bisogno di essere coscienti di essere esseri unici, ognuno con un proprio cammino che, per quanto possa essere condiviso per momenti o per una vita intera, resta sempre individuale e nulla puo' contagiarci se non nella misura in cui noi gli permettiamo di farlo.
Non possiamo togliere il dolore a nessuno, ma possiamo insegnargli a viverlo e che nella vita si puo' sempre scegliere come vivere cio' che accade. Non possiamo risolvere la vita di nessuno, ma possiamo seguire il nostro cammino e dare un esempio. Non possiamo forzare qualcuno a cambiare affinche' si adatti alla nostra vita o al nostro ideale di vita, ma possiamo aiutarlo a sentirsi libero di seguire il proprio cammino, accompagnarlo in alcuni tratti coscienti che stiamo scegliendo di farlo e percio' senza forzare la sua maniera d'essere e senza aspettarsi nulla in cambio se non cio' che si esprime con naturalezza. 
Il fatto e' che solo quando siamo in pace con noi stessi, quando siamo capaci di accogliere e stare anche le emozioni scomode senza lasciarci trascinare da esse, allora riusciamo ad abbracciare, accompagnare e insegnare, a non prendere le cose sul personale, a non cercare di controllare e cambiare negli altri cio' che non riusciamo a controllare e cambiare in noi stessi.