L'AMORE




"L'amore deve portare pace e felicità a coloro che amiamo.
Se nutriamo un amore fondato sul desiderio egoistico di possedere gli altri, non daremo loro ne pace ne felicità.
Al contrario, li faremo sentire in trappola.
Se la persona che amiamo è infelice a causa del nostro amore, vorrà liberarsene. Non accetterà la prigione del nostro amore. E l'amore si trasformerà poco a poco in rabbia e odio.
L'amore è comprensione.
Senza comprendere è impossibile amare.
Se desideri la felicità di coloro che ami, devi imparare a comprenderne i dolori e le aspirazioni. Comprendendoli saprai alleviarne i dolori e aiutarli a realizzare le aspirazioni.
Questo è vero amore.
Se invece vuoi che coloro che ami si adeguino alle tue idee senza sforzarti di conoscere i loro bisogni, non è vero amore. E' solo il desiderio di possedere l'altro e di appagare i tuoi bisogni che in questo modo non saranno mai soddisfatti".


VADO, PERO' RESTO

Un giorno in un rifugio dove ero ferma da un po' vennero una coppia di pellegrini, un uomo ed una donna. Mi sembravano così affiatati che quasi stentavo a credere che si erano conosciuti due giorni prima.
Sul cammino si è più aperti e si ha più fiducia e capita spesso di incontrare persone e sentire un profondo legame, di condividersi profondamente in poco tempo, si è spogliati dei vari ruoli e si giunge più rapidamente a quell'essenza in cui siamo tutti uguali.
Li vidi salire le scale del rifugio ridendo e scherzando.
Ero seduta su una panca fuori e li osservavo divertita, li invitai a riposarsi prima di entrare.
Lei mi disse di volersi fermare li, era stanca e aveva fatto abbastanza chilometri e non aveva nessuna fretta, mentre lui era titubante.
Percepii il suo conflitto e comincia a parlare con lui. Mi disse che avrebbe voluto fermarsi, ma era già in ritardo sulla sua tabella di marcia, nella sua mente aveva già stabilito il giorno esatto in cui arrivare a Santiago, e aveva tardato proprio per stare con quella ragazza appena conosciuta.
Non percepivo un'intenzione sentimentale, ma vedevo in loro un vero e puro piacere a condividersi e trascorrere del tempo insieme.
Rimasi neutrale cercando di non condizionarlo ma di farlo arrivare da solo alla decisione.
Gli dissi, come spesso mi capitava di ripetere a molti pellegrini, che il cammino non era arrivare a Santiago, ma imparare ad ascoltarsi, ad ascoltare la voce del presente. Che nella vita è necessario avere a volte degli obiettivi, ma in quanto linee guida che ci dirigano senza spingerci a farci violenza per raggiungerli, senza impedirci di vivere la realtà del momento e di fluire insieme alle sue richieste, senza snaturare il fluire della vita e rispettando il nostro sentire profondo.
Allo stesso tempo gli dissi che a volte quando viviamo una cosa bella desideriamo prolungarla più di quello che la vita ci offre, che se per lui era così importante arrivare a Santiago quel giorno allora forse doveva ascoltarsi, capire se davvero aveva un significato profondo.
Ciò che cercai di trasmettergli era che ciò che contava era ascoltare il cuore.
Rimase li seduto nel suo conflitto finché non lo vidi prendere una penna e scrivere un bigliettino.
Io e la ragazza dall'altro lato del tavolo parlavamo tranquillamente condividendo il nostro mondo e le nostre esperienza.
Si avvicinò a noi, ci salutò e posò con mano decisa il bigliettino sul tavolo. Si voltò per scendere le scale, saltando i convenevoli, quasi con la paura che avrebbe cambiato idea.
Quando la sua figura sparì completamente dal nostro campo visivo la ragazza, seduta di fianco a me, aprì il bigliettino. C'era scritto “vado, però resto”.
Mi sembrò una cosa così tenera e originale. Andava perché il suo schema mentale gli imponeva così, ma il suo cuore rimaneva li.
Guardammo in lontananza lungo il cammino per salutarlo, ma non lo vedemmo, pensammo che doveva aver camminato velocemente. Così continuammo a parlare tra di noi.
Dopo circa mezz'ora lo vidi risalire le scale.
Scese le scale si era fermato su una panchina che noi non potevamo vedere dalla posizione in cui ci trovavamo. Era rimasto li, solo ad ascoltare ciò che sentiva dentro di se. Decise così di restare.
Fui felice di accoglierlo nel rifugio.
Non era importante ciò che sarebbe accaduto tra di loro o se avessero continuato o meno a camminare insieme, ciò che era importante era che al di la dei suoi schemi, era riuscito ad ascoltarsi e ad accogliere e vivere quel dono che gli stava offrendo il presente.
Durante il giorno li vidi diverse volte continuare a chiacchierare rilassati, sereni e allegri. Mi invitarono a cenare con loro, ma preferii lasciarli soli. Metteva allegria il solo guardarli.
Avevano fatto un regalo non solo a se stessi, ma anche a coloro che li circondavano in quel momento.


NOIA



“La mente esiste in uno stato di “non avere mai abbastanza”, per cui vuole sempre di più.
Quando ti identifichi con la mente, ti annoi e ti inquieti facilmente. La noia significa che la mente ha fame di nuovi stimoli, di più cibo per il pensiero, e che questa fame non viene soddisfatta.
Quando sei annoiato puoi soddisfare la fame mentale leggendo una rivista, facendo una chiamata telefonica, accendendo la televisione, navigando in internet, andando a fare shopping o, e questo è abbastanza comune, trasferendo al corpo la sensazione mentale di carenza e il bisogno di volere sempre di più, e soddisfacendola brevemente mangiando più cibo.
Oppure puoi sentirti annoiato e inquieto, e osservare la sensazione di essere annoiato e inquieto. Man mano che prendi consapevolezza di questa sensazione, comincerà a sorgere qualche spazio di quiete intorno ad essa. Al principio solo sarà un piccolo spazio, però con l'aumentare della sensazione di spazio interno, la noia comincerà a diminuire di intensità e significato.
In modo che anche la noia ti può insegnare chi sei e chi non sei. Scopri che essere una “persona annoiata” non è la tua identità essenziale.
La noia è semplicemente un movimento interno dell'energia condizionata.
Non sei nemmeno una persona triste, arrabbiata o paurosa.
La noia, la rabbia, la tristezza o la paura non sono tuoi, non sono personali. Sono stati della mente umana. Vanno e vengono.
Niente di ciò che va e viene sei tu.”

La nostra essenza va oltre tutte queste sensazioni, la nostra essenza in realtà è pura. Lo stato naturale della mente è quello di pace. Ma riempiti di condizionamenti non riusciamo ad accedervi.
E' come se fossimo un lago in completa quiete in cui, ogni persona che passa sulla riva, getta un sasso. Quei sassi sono i condizionamenti, ciò che ci hanno detto in famiglia, a scuola, in televisione, sui libri, una sorta di mentalità sociale che si è inserita dentro di noi.
I condizionamenti ci fanno credere che non siamo abbastanza, che dovremmo o non dovremmo provare o volere certe cose, che dovremmo dimostrare sempre di più, che non andiamo bene così come siamo, che dovremmo fare qualcosa o non farne un'altra, che alcune cose sono normali mentre altre no, tutto ciò crea un profondo conflitto.
Come i sassi si depositano sul fondo del lago, i condizionamenti si depositano nel fondo di noi stessi e agiscono senza che noi ce ne rendiamo conto.
Così, insieme ai processi biologici in atto nel corpo umano e ai cambiamenti esteriori che agiscono sulla nostra biologia, creano ansia, angoscia, agitazione, tristezza, invidia, gelosia, odio e tante altre sensazioni. Per tenerle a bada spesso andiamo alla ricerca di distrazioni, dal semplice accendere la televisione e imbambolarci a qualsiasi cosa, al fare shopping, alla necessità di fare sempre qualcosa, di vedere nuovi posti, di lavorare tanto, tutti meccanismi per non stare con noi stessi e osservare ciò che avviene dentro di noi e che ci impediscono di scoprire chi siamo davvero e cosa realmente sentiamo di fare, perché a volte scoprirlo significa apportare dei cambiamenti.
E spesso, se proprio non riusciamo a fermarci la vita ci mette nella condizione di farlo attraverso malattie, disagi, senso di malessere, incidenti.
Per evitare di arrivare al limite, anche se spesso è necessario, ciò che possiamo fare è fermarci e imparare ad osservare quei sassi, a riconoscerli per impedirgli di avere potere su di noi e per smetterci di identificarci. Possiamo riconoscere di provare invidia, di sentire a volte della cattiveria verso gli altri, rabbia, magari anche verso persone a noi care, tristezza, gelosia, avarizia, possiamo imparare a vedere e accettare queste sensazioni comprendendo che spesso sono legate a delle circostanze, a degli “insegnamenti”, a contesti, a ciò che ci hanno spacciato per giusto, tutte queste sensazioni non rappresentano la nostra reale essenza. E riconoscendole possiamo evitare di agirle. Possiamo viverle dentro di noi, ascoltare cosa hanno da dirci, ma non le agiamo, non le portiamo a quel limite che ci porta a far del male a noi stessi e agli altri.
Ricordo durante il cammino usci fuori una grande rabbia per mia madre. Camminavo con un uomo ungherese che avevo conosciuto e una mattina, dopo aver fatto uno strano sogno e calcolando che quando iniziai a camminare interruppi i contatti con mia madre che non comprendeva ciò che stavo facendo, gli parlai di mia madre con una tale rabbia che lui si mise a piangere. Dovetti riconoscere quella rabbia prima di poterla trasformare e costruire con mia madre un nuovo rapporto onesto.
I nostri genitori sono spesso mira del nostro malessere perché sono i primi che ci hanno impedito di fare ciò che volevamo fare. A volte per evitarci del dolore, per aiutarci, altre per via dei loro condizionamenti. Anche loro sono esseri umani condizionati, chiunque non abbia sviluppato la capacità di osservarsi, di conoscersi, è mosso per buona parte dai condizionamenti e dalle paure.
Quando riconosciamo questo riusciamo a comprendere che odiare qualcuno, fargli del male, arrabbiarci, non ha senso.
Un altro problema è che spesso non ci conosciamo, non sappiamo chi siamo realmente ne che siamo capaci di fare, in che forma esprimere il nostro essere profondo, non ci diamo uno spazio per farlo. Per cui pensiamo che tutte quelle sensazioni che abbiamo siano noi e, dato che spesso ci fanno paura, facciamo di tutto per evitarle, per non sentirle.
Un modo per conoscerci e fare sempre di più cose che sentiamo davvero di fare, passare del tempo con noi stessi, nella natura e con persone con cui sentiamo di poterci condividere realmente e profondamente.

Se impariamo a conoscerci, impariamo anche a provare piacere a stare con noi stessi e a trovare dei modi per trasformare quelle sensazioni che avvertiamo. Impariamo che possiamo trasformare quell'energia in atti creativi, e che la natura, la vita, il semplice osservare o condividersi sono abbastanza se riusciamo a viverli con reale presenza.

LA BONTÀ NEGLI OCCHI


Di solito il cammino è un posto abbastanza tranquillo, non ho mai avuto esperienze rischiose.
Ma accadde un giorno, quando ero hospitalera in un albergo per pellegrini, che venne un uomo tedesco un po’ particolare.
Non ero li quando arrivò, c’era una giovane ragazza tedesca in quel momento ad occuparsi dell’accoglienza. Io ero andata a fare una passeggiata. Prevedevo di passeggiare di più, ma ad un tratto sentii di voler tornare nell’albergo.
Arrivata li trovai la giovane ragazza un po’ agitata e quest’uomo tedesco seduto in attesa di qualcosa. Quando mi vide si sentì alleviata. Mi raccontò che l’uomo era entrato chiedendo un posto per dormire, come di routine, che era su una sedia a rotelle ma era entrato in albergo camminando e che continuava a ripetere parolacce e minacce che, essendo tedesca, ovviamente lei capiva. Non sapeva che fare.
Notai che aveva bevuto e non mi sentivo di far entrare nell’albergo una persona in quelle condizioni. Dissi alla ragazza di dire a quell’uomo di aspettare e di calmarsi e che avrei contattato il responsabile della struttura.
A quanto pare non la prese bene. Si alzò e con tutta la forza che aveva spinse la scrivania verso di me e la ragazza in modo da bloccarci alla parete. Fortunatamente, lateralmente alla scrivania, c’era l’entrata ad una sorta di back office dove prontamente ci infilammo chiudendoci a chiave. L’uomo, in preda di una qualche emozione negativa, prese a lanciare sedie e rompere tutto ciò che trovò a portata di mano. Sentivo il rumore dei vetri e il trambusto della forza distruttiva che lo possedeva in quel momento. Era evidentemente frustrato e arrabbiato.
Chiamammo la polizia e ci volle un po’ prima che arrivassero. Ero preoccupata per i pellegrini nell’albergo e per quelli che sarebbero potuti entrare. Non sapevo come avvisarli.
Fortunatamente c’erano porte di vetro a separare l’entrata e la parte interna dell’albergo dalla saletta dove tutto stava accadendo, cosicché i pellegrini si resero conto della situazione e si misero al riparo, chiamando anch’essi la polizia.
Quando sentii che fuori i rumori si erano calmati e le voci della polizia, aprii la porta per uscire.
C’erano sedie qua e la, pezzi di vetro ovunque e macchie di sangue. L’uomo era seduto sul pavimento con la schiena appoggiata alla parete, era stremato. Come se quella forza che l’aveva reso capace di tale atto si fosse dissolta lasciando solo un uomo senza difese. Aveva le mani piene di sangue, le aveva usate per rompere i vetri ovviamente ferendosi. Il fatto che si fosse ferito, che avesse fatto del male a se stesso, era la prova che non c’era una razionalità in ciò che aveva appena fatto.
Lo vidi li seduto, stremato e ferito dalle sue stesse azioni e non potevo che sentire una gran compassione.
Andai verso di lui e mi piegai per essere alla sua altezza. Teneva la testa bassa come a vergognarsi di ciò che aveva fatto. Rimasi li finché non alzò lo sguardo per incrociare il mio. Quando questo accadde vidi la bontà nei suoi occhi azzurri, vidi una persona buona in preda all’inconsapevolezza. Come potevo colpevolizzarlo? Come potevo giudicarlo? Come potevo pensare che la persona che aveva avuto una tale reazione era davvero il suo essere più profondo, la sua essenza?
Quante volte, in preda ai condizionamenti e all’inconsapevolezza, facciamo cose o reagiamo in modi inappropriati o creiamo sofferenza a noi stessi o agli altri?
Non dico che alcuni comportamenti debbano essere giustificati o che non si debba effettuare alcuna azione in merito o allontanarsi da determinate situazioni, ma si può davvero attribuire all’essenza della persona quel comportamento? Si può davvero giudicare una persona come cattiva?
Ovviamente c’era in quell’uomo della sofferenza, altrimenti non avrebbe ferito se stesso, in quanto finì in realtà per essere l’unica vittima del suo stesso atto.  E ovviamente non lo avremmo ospitato per la notte o lasciato continuare fare ciò che stava facendo, ma potevamo sentire compassione e dispiacere per quella persona.
La bontà nei suoi occhi era la dimostrazione dell’esistenza di quel seme di bontà e spiritualità presente in ogni persona. Ma non sempre il corso della vita, i condizionamenti, le condizioni in cui cresciamo ci aiutano a favorirlo e svilupparlo, ma questo non vuol dire che non ci sia e che in un qualche momento possiamo scegliere di alimentarlo e coltivarlo.
Se impariamo a riconoscere quel seme negli altri, lo riconosceremo anche in noi stessi e saremo più capaci di perdonare e perdonarci e, attraverso il perdono, dare più spazio a quel seme di germogliare.


OLTRE LE NUBI




Il vostro essere interiore altro non è che un cielo vuoto.
Le nubi vanno e vengono,
i pianeti nascono e scompaiono,
le stelle sorgono per poi morire,
e quel cielo interiore rimane intatto,
identico a se stesso, immacolato, limpido.
Quel cielo interiore è chiamato Sakshin, il testimone,
ed è quella la meta della meditazione.
Entra in te e godi di quel cielo interiore.
Ricorda: tutto ciò che puoi vedere, non sei tu.
Puoi vedere i tuoi pensieri,
dunque non sei i pensieri.
Puoi vedere i tuoi sentimenti,
dunque non sei i tuoi sentimenti.
Puoi vedere i tuoi sogni, desideri, i ricordi, le immaginazioni, le proiezioni,
dunque non sei nulla di tutto ciò.
Vai avanti, elimina tutto ciò che sei in grado di vedere.
E un giorno sorgerà un istante incredibile,
l'istante in cui non resterà più nulla da scartare.
Tutto ciò che può essere visto è scomparso.
Solo il veggente rimane.
Colui che vede è il cielo vuoto.
Conoscerlo rende liberi da ogni timore,rende ricolmi d'amore.

Durante un ritiro ero seduta su una panchina guardando il cielo. C'era questo cielo blu, limpido e immacolato, e ogni tanto qualche nube bianca lo attraversava.
E' ovvio che non era la prima volta che guardavo il cielo, ma mi sembrava di avere una nuova consapevolezza. 
Questa frase tornò dentro di me "...il vostro essere interiore altro non è che un cielo vuoto"  e guardando il cielo mi dissi " è proprio vero, la nostra mente, il nostro essere profondo è come un cielo blu..." ma più che una costatazione mi sembrava di "comprenderlo" pienamente, di sperimentarlo.
Le nubi mi sembravano i pensieri, i condizionamenti, tutto ciò che c'è in quel cielo in realtà non è nostro, è frutto della cultura, di ciò che abbiamo sentito, ascoltato, letto, di ciò che abbiamo imparato a scuola, nella nostra famiglia, anche di ciò che abbiamo sperimentato ma che comunque non appartiene al presente che stiamo sperimentando, alla realtà del momento.
"...Ricorda: tutto ciò che puoi vedere, non sei tu". Le nubi mi sembravano tutto questo, quei pensieri che ogni tanto attraversano il cielo, a volte sono bianche, altre grigie, altre quasi nere, a volte sono piccole, a volte grandi, a volte il cielo è più limpido, quando siamo sereni, allegri, altre è completamente coperto, a volte le nubi restano per più ore, giorni, altre per poco tempo, ma il cielo puro e limpido resta sempre li.
"....Le nubi vanno e vengono, i pianeti nascono e scompaiono, le stelle sorgono per poi morire, e quel cielo interiore rimane intatto, identico a se stesso, immacolato, limpido" .
Per cui, perché dovrei dare tanta importanza a qualcosa che non è mio? A qualcosa che in un modo o nell'altro ha la natura di "sorgere e cessare"?
Leggerlo è semplice, ma sperimentarlo richiede tempo e pazienza.
Dopo di ciò andai in sala di meditazione. Mentre ero seduta sentii una grande negatività invadermi, è incredibile vedere come la mente generi negatività. Pensavo cose negative di me stessa. Quando ad un certo punto mi distaccai e cominciai ad osservare. Vidi quella negatività come delle nubi grigie che invadevano la mia mente e, nel momento in cui le osservai, mi resi conto che non erano reali perché nella realtà del momento, nel presente, non stava accadendo nulla, quindi erano una creazione della mente. Quando le vidi per quelle che erano scomparvero, smisi di identificarmi.
Certo, la negatività non è andata via tutta, abbiamo anni e generazioni di condizionamenti alle spalle, ma possiamo imparare a non identificarci, quella negatività, quei pensieri, non siamo noi.
Ora quando ho dei pensieri negativi riesco a riconoscerli più rapidamente, ad osservarli, ad interromperli prima che prendano troppo piede. Quando sorge un pensiero negativo, ma anche positivo, mi dico "non è mio, non sono io" quando sorge tristezza o anche felicità cerco di ricordare che "passerà", senza per questo non viverla o evitarla. Ma avendo la consapevolezza che passerà smettiamo di identificarci o di volere che passi in fretta o che duri.
E mi i viene sempre in mente la frase che disse una volta di un monaco buddhista:
"Tutti i fenomeni hanno la caratteristica di sorgere e cessare. Con la cessazione c'è pace".
Se riusciamo ad integrare questo pensiero nella nostra vita, allora sorge la pace.
Ci vuole tanta pratica, attenzione e pazienza. Ci vuole l’intenzione, l’impegno e la voglia di risvegliarsi da una condizione di sofferenza per rimanere saldi in noi stessi, per non lasciarci condurre completamente dalla mente e da istinti biologici, per poter sviluppare l’equanimità e godere del presente e della realtà così com'è.

LA VOCE DEL CUORE

Lutirano, Toscana


"Avete la sensazione profonda di aver trovato la strada giusta? Allora seguitela senza chiedere l'opinione di nessuno. Se volete assolutamente porre delle domande, ponetele alla vostra anima, al vostro spirito, al vostro dio interiore. Ogni volta che interrogate il principio interiore che è in voi, ricevete una risposta."


Questa frase mi fa venire in mente un'intensa giornata.
Ero in una zona selvaggia e bellissima del centro Italia decisa a fare una passeggiata verso un eremo immerso nelle colline, non so perché quel posto mi chiamava. Già avevo visto delle indicazioni e intuivo quale era la strada, ma per essere certa chiesi al proprietario di un Bed & Breackfast li nei paraggi che mi disse "E' lontanissimo. Guarda, vai per quest'altro cammino, anche li è molto bello" e mi indicò la strada. Mi dissi che avrei potuto rinunciare all'eremo se c'era un altro cammino più bello e interessante, così mi avviai per la strada che mi aveva indicato che, oltretutto, sembrava più semplice rispetto alla salita che si prospettava per raggiungere l’eremo.
L'entusiasmo iniziale andò scemando man mano che camminavo, cominciai a pensare che non era quella la strada che sentivo di fare, in più quel cammino all'apparenza più semplice e quel paesaggio non mi trasmettevano nulla. Sempre meno convinta di camminare, ad un certo punto arrivai davanti un cartello che segnalava che ci si stava addentrando in una zona di addestramento cani con arma da fuoco, lo sentii come una conferma che non era quello il mio cammino. Così tornai indietro convinta di andare la dove sentivo sin dall'inizio. Sorpassai il B&B questa volta senza fermarmi ne chiedere, e mi diressi cammino all'eremo.
In un piccolo paesino mi fermai in un negozietto per comprare qualcosa da mangiare e per essere certa di essere sul cammino giusto chiesi conferma alla proprietaria del negozio che mi rispose "Il cammino è corretto, però è molto lontano, inoltre il tragitto per raggiungere l'eremo sarà pieno di fango!". La ringraziai, ma decisi che questa volta non mi sarei lasciata condizionare, così proseguii.
Più camminavo, più sentivo di essere sul mio cammino, tutto mi dava la sensazione di fluire. La piccola chiesetta sempre chiusa che invece era aperta, i cerbiatti che non lontano da me saltavano per i campi, la splendida giornata di sole nel mezzo di dicembre, tutto fluiva con dolcezza. Il sentiero, che sino a quel momento era stato parallelo alla stradina per le macchine, cominciò ad inoltrarsi nella montagna. Sentii di cominciare realmente ad addentrarmi in una natura incontaminata e quasi quel silenzio cominciò a farmi paura. Iniziai a pensare che avrebbe potuto avvicinarsi qualche animale pericoloso, ero sola e senza la possibilità di contattare qualcuno in caso di emergenza. La mia mente cominciò a creare immagini non reali e fantasie, quando nel presente che stavo sperimentando non stava accadendo nulla.
Mentre salivo quasi tremante avvolta nella mia nube di paure immaginarie, vidi una macchia di sangue sul suolo, diventai nervosa dicendomi che non era necessario sfidarmi, che quello era abbastanza per farmi tornare indietro. Qualcosa che, per una mente lucida, poteva rappresentare una sciocchezza, per la mia mente condizionata da ansia e paure, diventò un dramma. Non ci pensai due volte che voltai le spalle e scesi rapidamente quasi con rabbia. Quella giornata splendida terminava così.
In realtà ero arrabbiata con me stessa. Mi fermai la dove il sentiero ritornava sulla stradina per le macchine e mi sedetti sul suolo, quasi avevo corso, così presi un momento per raccogliere le idee e ascoltare ciò che provavo. Sentii la mia paura e le sensazioni che comportava, mi analizzai cercando di rimanere connessa al presente e calmarmi, lasciando che le cose fluissero. Quando mi calmai dal profondo di me stessa uscì una sorta di comando interiore "non lasciare che la paura ti impedisca di fare ciò che realmente senti di fare". D'istinto mi rialzai e ritornai a salire. Raccolsi un bastone che mi fece sentire più protetta e con passo rapido camminai decisa a raggiungere l'eremo.
Potevo sentire il battito del mio cuore e il respiro che si faceva sempre più intenso, il tutto mi riconnetteva a me stessa. Superai la macchia di sangue senza curarmene e mi inoltrai sempre di più nella natura. Il paesaggio si faceva sempre più intenso ed io mi sentivo sempre più in sintonia con tutto ciò che mi circondava. La paura era ancora presente, ma ora come una voce di sottofondo necessaria solo a mantenermi all'allerta nel caso in cui qualche pericolo si fosse realmente presentato, e non come un prodotto di illusioni della mia mente la cui sola funzione è quella di paralizzare.
Trovai ad un certo punto il fango di cui mi aveva avvisato la proprietaria del negozietto di alimentare, e proprio mentre lo stavo attraversando serenamente, passò una macchina, mi sembrò strano per quella zona così isolata e di difficile accesso a un'auto, lo stesso deve aver pensato lui di me perché si fermò. Ne approfittai così per chiedergli quanto lontano fosse l'eremo, lui mi rispose aggiungendo "il cammino è pieno di fango" e andò via. Sembrava che la vita volesse mettere alla prova la mia determinazione. Mi fermai in mezzo al fango titubante e feci qualche passo indietro quasi ad arrendermi, ma con passo deciso tornai di nuovo a salire. Dovevo sperimentare per rendermi conto da sola quanto potesse essere duro il cammino. Già varie volte mi ero resa conto che ciò che poteva essere difficoltoso per qualcuno per me risultava semplice e viceversa. Per quanto nell'essenza siamo tutti uguali, ognuno ha un modo diverso per sperimentare e giungere alla verità. Mi rimase impressa una ragazza che, alla fine di un corso di meditazione, mi disse "vedi come ognuno sperimenta in modo diverso. A colazione o pranzo ci sono sul tavolo alcune cose, il cibo è quello, uguale per tutti, ma ognuno lo mette nel piatto in modo diverso, ognuno lo mescola diversamente e lo mangia in un diverso ordine, è incredibile quante varianti diverse possono venir fuori dalle stesse cose". Lo stesso vale nella vita, ognuno ha un suo modo di raggiungere la verità o la pace che sono già dentro di noi, per questo è importante imparare ad ascoltare la propria voce interiore, la voce del cuore, su questo dovrebbe basarsi la pratica di ogni disciplina volta ad accrescere la consapevolezza, sull'imparare a conoscere ed ascoltarsi oltre tutti i condizionamenti, e per questo è necessario avere periodi di solitudine e contatto con la natura, perchè la natura insegna solo osservandola, non ti dice ciò che giusto o sbagliato, se una strada ci permette di esprime il nostro essere più profondo, ci fa sentire pieni e vivi nonostante le difficoltà, allora quella è la strada giusta per noi.
Continuai a salire fino a giungere all’eremo immersa in un silenzio che mi permetteva di ascoltare il suono di ogni passo, di ogni battito del mio cuore che accelerava in salita, del respiro. Mi sembrava non ci fossero confini tra me e lo spazio circostante.
Ogni passo sul cammino all'eremo fu per me un insegnamento, è stato bello vedere come ognuno di noi ha una percezione diversa delle distanze, delle cose belle, delle difficoltà, e spesso non perché sperimenta, ma perché così gli è stato detto, per cui lo da per vero. Una bellissima frase dice “ Rendiamo un servizio alla verità quando distinguiamo accuratamente tra ciò che sappiamo per esperienza diretta e quanto crediamo essere vero”. E' importante sperimentare in prima persona, arrivare alle conclusioni basandoci sulla nostra esperienza, anche a volte accettando il consiglio o l'insegnamento di qualcuno, ma solo sa abbiamo la sensazione che quella persona abbia anch'essa sperimentato e raggiunto quelle conclusioni, quella pace e quella consapevolezza che noi vogliamo apprendere. E' importante andare dentro di noi ed ascoltarci, conoscerci. Se una voce si fa sempre più pressante, spesso è la voce de cuore che, avvolta dalle barriere dei condizionamenti, fa fatica a farsi ascoltare.
Quando sentii di andare all'eremo, sentivo che era la cosa giusta per me in quel momento, ed è normale avere paura, ma è importante non lasciarsi paralizzare e fare sempre di più dei passi oltre la paura, perché quando facciamo ciò che sentiamo davvero, la vita ci viene incontro per aiutarci e sostenerci.
Il cammino all'eremo fu prezioso...e non trovai altro fango oltre quel pezzo in cui mi trovavo quando passò la macchina...l'eremo era lontano in chilometri, ma per me non lo è stato. Se sentiamo di fare qualcosa, facciamola, e se ci capita di chiedere a qualcuno perché abbiamo un dubbio, ve bene, però fidiamoci solo di chi ha sperimentato, di chi ha vissuto sulla propria pelle ciò di cui parla, e non lasciamoci paralizzare, non solo dalle nostre paure e percezioni, ma anche da quelle degli altri che non hanno sperimentato e credono di sapere.




OGNI POSTO E’ UNA MINIERA




"Ogni posto è una miniera. Basta lasciarsi andare, darsi tempo, stare seduti in una casa da te ad osservare la gente che passa, mettersi in un angolo del mercato, andare a farsi i capelli e poi seguire il bandolo di una matassa che può cominciare con una parola, con un incontro, con l'amico di un amico di una persona che si è appena incontrata e il posto più scialbo, più insignificante della terra diventa lo specchio del mondo, una finestra sulla vita, un teatro di umanità dinnanzi al quale ci si potrebbe fermare senza più il bisogno di andare altrove.
La miniera è esattamente la dove si è : basta scavare. "



Ebbi la fortuna di avere una coppia di amici proprietari di una piccola casa nell'isola più piccola delle Canarie. Il loro progetto era quello di lasciare la casa a disposizione di coloro che avevano bisogno di un periodo di tranquillità ed eremitaggio.
Erano almeno un paio di anni che mi proponevano di andare, ma ero presa da altre cose. Alla fine questo posto cominciò a chiamarmi e la vita a mandarmi segnali, così dopo alcune resistenze, sempre c'è una sorta di resistenza al nuovo, partii.
La casa era preziosa, un piccolo monastero. Il primo giorno fu bellissimo, avevo uno spazio che per un certo periodo sarebbe stato solo mio e che mi sarei potuta gestire come sentivo.
Ma una casa è solo una casa, per quanto bella e accogliente possa essere.
Il secondo giorno arrivò la calima, un vento africano fortissimo. Fui costretta a restare in casa e l'unico momento in cui tentai di uscire nel giardino, la porta mi si chiuse alle spalle con la chiave infilata dentro. Fui costretta a chiamare i vicini che, con grande disponibilità, mi aiutarono a rientrare. Era come se l'isola volesse mettermi alla prova. Cominciai a sentirmi da un lato scacciata dalla casa, dall'altro prigioniera di quelle pareti. Quell'isola, o almeno quella parte che riuscivo a vedere, mi sembrava piccolissima. Cominciai a chiedermi dove fossi capitata, immaginavo sole e buon tempo, invece trovai nuvoloni, freddo, vento e nebbia.
In quell'atmosfera la mia mente impaziente cominciò a generare negatività e, il sentirmi chiusa in quattro mura in un posto dove non conoscevo nessuno, amplificò tutto.
Sul traghetto che mi portò sull'isola avevo conosciuto una donna francese che si recava li per pochi giorni per visitare un amico. L'avevo notata nel bagno del porto, spesso mi capita di notare una persona e avere una sensazione, percepire una sorta di affinità, un sentire di aver qualcosa da condividere con quella persona. Nella fila per salire sulla nave la ritrovai davanti a me e da li cominciammo a parlare. Arrivate al porto mi aiutò a trovare un passaggio per giungere al paesino dove si trovava la casa, lei sarebbe scesa al paese successivo. Prima di separarci mi disse che mi sarebbe venuta a trovare nei giorni seguenti.
Pensai che mi avrebbe fatto piacere rivederla, era l'unica persona che conoscevo li. Ma non avevo nessun modo di mettermi in contatto con lei, ne in realtà le avevo spiegato dove fosse la casa, quando arrivammo nemmeno io avevo ben chiaro dove mi trovassi. Ricordai però la data del giorno in cui doveva partire, così pensai che avrei almeno potuto farle un cuore di stoffa e portarglielo al porto per ringraziarla e salutarla.
Avvolta in quella nuvola di negatività mi sembrava a tratti una cosa inutile. Quando siamo nella negatività tutti i piccoli passi per uscirne ci sembrano inutili. Ma per me, il sol creare quel cuore era un dono che mi permetteva di convertire quell'energia negativa in un atto creativo, non era importante il senso che avesse il tutto, semplicemente era qualcosa che sentivo di fare.
Era il primo giorno senza calima, uscii di casa senza pensarci e senza avere una chiara coscienza di dove fossi. Tutto fluì e trovai subito un passaggio per scendere al porto. La vidi da lontano arrivare in una macchina che la portò direttamente sotto la nave. Cominciai a correre verso di lei urlando il suo nome e sventolando il braccio con il cuore racchiuso nella mano. L'uomo che l'aveva accompagnata mi guardò sorridendo. Riuscii a raggiungerla e le diedi il cuore salutandola...tutto qui. Il suo amico si propose di riaccompagnarmi.
Fu da quel piccolo gesto, da quella sensazione di regalare un cuore a quella donna, che l'isola divenne per me "lo specchio del mondo". Quell'uomo, oltre a diventare un caro amico, mi aprì le porte dell'isola, mi fece conoscere non solo i segreti e gli angoli più belli dell'isola, ma persone che mi fecero conoscere altre persone e me stessa. Da quella piccola sensazione ascoltata si era aperto un mondo.
  Ogni posto è una miniera...basta solo ascoltare il cuore e fare un piccolo passo.


IL CUORE COMPRESO



Un giorno, nel rifugio per pellegrini lungo il cammino di Santiago dove facevo la volontaria, venne un uomo. Era già passato di li più di una volta nella stessa stagione. La sua vita in quel momento era percorrere il cammino in ogni direzione. Lo vidi però un pò stanco e sconfortato.
Volevo dirgli qualcosa, ma mi ritrovai a guardarlo senza avere parole adatte a consolarlo. In realtà in quel momento mi sentivo allo stesso modo.
Come possiamo consolare qualcuno se non ci prendiamo prima cura di noi stessi? Come possiamo donare qualcosa che non abbiamo?
La mattina dopo preparai lo zaino e decisi così di prendermi qualche giorno per me stessa, mentre lui decise di fermarsi li. In un qualche modo ci scambiammo i ruoli.
Fa sempre bene allontanarsi un pò da ciò che stiamo vivendo e osservarlo nella distanza, senza la paura di perdere qualcosa. Non perdiamo mai nulla, soprattutto quando ci concediamo del tempo per riprendere fiato e stare con noi stessi.
Camminai un pò e mi fermai due giorni in un posto dove trovai qualche libro da sfogliare, in uno incontrai una frase che trascrissi con cura sulla mia agenda, recitava così: 
“Ogni essere umano, nel corso della propria esistenza, può adottare due atteggiamenti: costruire o piantare. I costruttori possono passare anni impegnati nel loro compito, ma presto o tardi concludono quello che stavano facendo. Allora si fermano, e restano lì, limitati dalle loro stesse pareti. Quando la costruzione è finita, la vita perde di significato. Quelli che piantano soffrono con le tempeste e le stagioni, raramente riposano. Ma, al contrario di un edificio, il giardino non cessa mai di crescere. Esso richiede l'attenzione del giardiniere, ma, nello stesso tempo, gli permette di vivere come in una grande avventura.
I giardinieri sapranno sempre riconoscersi l'un l'altro, perché nella storia di ogni pianta c'è la crescita della Terra intera”.
Di ritorno mi fermai in una città dove avrei dovuto prendere l'autobus per tornare al paesino. Alla stazione casualmente incontrai l'amico pellegrino che avevo lasciato nell'albergo. Ci sedemmo uno accanto all'altro e mi ritrovai nuovamente senza parole. Lo accompagnai alla fermata del bus che doveva prendere e mi venne in mente di tirar fuori l'agenda e leggergli quella frase, sentii che era quella giusta per lui, sentii che in quel momento aveva smesso di riconoscere il valore del suo “piantare”. Al leggergliela i suoi occhi si illuminarono, mi sorrise e abbracciò entusiasta. Fu un momento molto dolce.
A volte non bisogna fare molto, ma semplicemente comprendere nel nostro cuore ciò di cui l'altro ha bisogno. E non è necessario sforzarci per trasmetterlo, basta uno sguardo, un sorriso, un gesto...o una frase trovata su un libro qualche giorno prima.
Tutto ciò che è necessario è affinare la nostra capacità di comprensione e compassione. Un cuore compreso è un cuore più sereno.
 
 

LA LUCE DELLA CONSAPEVOLEZZA



"La felicità è la ricompensa per coloro che considerano santo ogni essere umano perché in ognuno di noi c'è un seme di spiritualità che cresce all'ombra della nostra vita quotidiana.
Se sappiamo curarla e proteggerla la pace ci accompagnerà lungo il nostro cammino"

Ognuno di noi porta dentro di se la luce della consapevolezza, quello stato di pace che è la reale natura dell'uomo, ma spesso la quotidianità, le distrazioni, l'allontanamento dalla natura, i condizionamenti, ci impediscono di accedervi. C'è bisogno di coltivare quelle cose che ci aiutano a riaccenderla per ricordarci che c'è. C'è bisogno di andare oltre paura e pigrizia e dare spazio, tempo e nutrimento a quel seme che dona armonia alla nostra vita.
Siamo fatti per essere sereni e sperimentare la pace, ma sta a noi cogliere le opportunità che la vita ci da per farlo.
Una passeggiata nella natura, dedicare reale spazio e tempo ad un amico, una visita ad un monastero, non importa a quale religione appartenga, i monasteri sono sempre luoghi di pace, imparare la meditazione, fare un viaggio verso un posto dove sentiamo di andare, cucinare con amore, condividersi, questo ci permette di coltivare il nostro seme di spiritualità, ma dobbiamo creargli uno spazio nella nostra vita.
La pace è accessibile a tutti perché è dentro ognuno di noi, dobbiamo solo dargli la possibilità di esprimersi e imparare a canalizzare quell'energia che abbiamo.

TUTTO HA COME FINE IL BENE




"Una monaca cinese passava per un villaggio di poche case, la notte stava ormai calando e lei era sola. Andò nello spiazzo di fronte alle case e chiese agli abitanti del villaggio: "vi prego, lasciatemi pernottare in una delle vostre case".
Per loro era un'estranea, inoltre apparteneva ad un'altra religione, per cui nessuno l'accolse. Il villaggio successivo era molto lontano, l'oscurità era ormai fitta e lei era sola, per cui dovette passare la notte in un campo.
Dormì sotto un ciliegio.
Nel cuore della notte si svegliò, faceva freddo perciò non riusciva a dormire. Guardò in alto e vide che l'albero era interamente fiorito...in quel momento spuntò la luna, e il chiarore rese quella fioritura meravigliosa.
La monaca provò una gioia immensa. Al mattino tornò al villaggio e ringraziò tutti coloro che le avevano rifiutato un riparo per la notte. Quando gliene chiesero il motivo disse " per il vostro amore, per la vostra compassione e gentilezza nel chiudermi la porta in faccia ieri notte. In questo modo ho potuto sperimentare un istante di gioia incredibile. Ho visto fiorire un ciliegio, e la luna risplendere in tutta la sua gloria, e ho visto qualcosa che non avevo mai visto prima. Se mi aveste dato alloggia ne sarei stata privata. Perciò ho capito la vostra gentilezza, il motivo per cui mi avete chiuso fuori dalle vostre case. "


Tutto dipende da come scegliamo di vivere ciò che la vita ci propone.
Se invece di sforzarci di far andare le cose come vogliamo imparassimo a cogliere il messaggio nascosto dietro ogni accadimento o semplicemente ad accogliere le cose così come sono, sicuramente vivremmo più serenamente.
Una frase di un libro diceva " A volte ciò che di negativo ci accade è una maniera che ha la vita per darci ciò di cui abbiamo realmente bisogno".
Una cosa ci sembra negativa solo perché la viviamo come spiacevole, solo perché la mente la giudica come tale, non la osserviamo semplicemente per quella che è. Quando le cose non vanno come vogliamo, invece di arrabbiarci, di prendercela con gli altri, di lamentarci, possiamo provare ad utilizzare diversamente l'energia che dedichiamo alla rabbia e alla lamentela, proviamo a chiederci "che messaggio vuole darmi la vita?", a volte dobbiamo allontanarci o abbandonare una situazione, un compagno, un posto, un lavoro, altre dobbiamo sfidarci per crescere. E se a volte la vita ci sembra dura è perchè quello è l'unico modo che ha per farsi ascoltare, per spingerci a superare pigrizia, comodità e paure, è perché spesso continuiamo ad insistere, a volere che le cose vadano secondo il nostro piano mentale nonostante stiano andando in una direzione totalmente opposta.
Le cose non vanno come vogliamo, le cose vanno come devono andare e tutto ha come finalità la nostra crescita ed evoluzione se sappiamo cavalcare l'onda e fluire invece di abbatterci perché le cose non vanno come vorremmo o crediamo di volere che vadano.
E se ci sembra che non ci sia nessun messaggio, proviamo semplicemente ad accettare le cose come sono, a vederne la bellezza e la magia al di la del giudizio della mente, perché quel giudizio è condizionato da schemi, insegnamenti e abitudini. Proviamo a trasformarle, a vederle con nuovi occhi, con gli occhi del cuore, o semplicemente a comprenderle ed accettarle nella loro essenza.
La monaca vide negata la possibilità di avere un riparo sicuro e confortevole, ma invece di lamentarsi e arrabbiarsi colse l'opportunità di vedere quel meraviglioso spettacolo e ringraziò anche la gente del villaggio per averle dato quell'opportunità. Basta solo Trasformare quel "freddo" che ci impedisce di dormire in un'opportunità per svegliarci e ammirare la luna illuminare un ciliegio in fiore.



DOVE FINISCE LA TERRA






E stai li, le onde che si muovono lente, nulla è perduto.
Oceano che libera, oceano che purifica.
La pace davanti all’immenso.
Ora capisco, e tutto ha un senso.
Tutto torna e ti libera.
E guarisci.

Cammino di Santiago 2011