Un giorno in un rifugio
dove ero ferma da un po' vennero una coppia di pellegrini, un uomo ed una
donna. Mi sembravano così affiatati che quasi stentavo a credere che si erano
conosciuti due giorni prima.
Sul cammino si è più
aperti e si ha più fiducia e capita spesso di incontrare persone e sentire un
profondo legame, di condividersi profondamente in poco tempo, si è spogliati
dei vari ruoli e si giunge più rapidamente a quell'essenza in cui siamo tutti
uguali.
Li vidi salire le scale
del rifugio ridendo e scherzando.
Ero seduta su una panca
fuori e li osservavo divertita, li invitai a riposarsi prima di entrare.
Lei mi disse di volersi
fermare li, era stanca e aveva fatto abbastanza chilometri e non aveva nessuna
fretta, mentre lui era titubante.
Percepii il suo
conflitto e comincia a parlare con lui. Mi disse che avrebbe voluto fermarsi,
ma era già in ritardo sulla sua tabella di marcia, nella sua mente aveva già
stabilito il giorno esatto in cui arrivare a Santiago, e aveva tardato proprio
per stare con quella ragazza appena conosciuta.
Non percepivo
un'intenzione sentimentale, ma vedevo in loro un vero e puro piacere a
condividersi e trascorrere del tempo insieme.
Rimasi neutrale
cercando di non condizionarlo ma di farlo arrivare da solo alla decisione.
Gli dissi, come spesso
mi capitava di ripetere a molti pellegrini, che il cammino non era arrivare a
Santiago, ma imparare ad ascoltarsi, ad ascoltare la voce del presente. Che
nella vita è necessario avere a volte degli obiettivi, ma in quanto linee guida
che ci dirigano senza spingerci a farci violenza per raggiungerli, senza
impedirci di vivere la realtà del momento e di fluire insieme alle sue
richieste, senza snaturare il fluire della vita e rispettando il nostro sentire
profondo.
Allo stesso tempo gli dissi
che a volte quando viviamo una cosa bella desideriamo prolungarla più di quello
che la vita ci offre, che se per lui era così importante arrivare a Santiago
quel giorno allora forse doveva ascoltarsi, capire se davvero aveva un
significato profondo.
Ciò che cercai di
trasmettergli era che ciò che contava era ascoltare il cuore.
Rimase li seduto nel
suo conflitto finché non lo vidi prendere una penna e scrivere un bigliettino.
Io e la ragazza
dall'altro lato del tavolo parlavamo tranquillamente condividendo il nostro
mondo e le nostre esperienza.
Si avvicinò a noi, ci
salutò e posò con mano decisa il bigliettino sul tavolo. Si voltò per scendere
le scale, saltando i convenevoli, quasi con la paura che avrebbe cambiato idea.
Quando la sua figura
sparì completamente dal nostro campo visivo la ragazza, seduta di fianco a me,
aprì il bigliettino. C'era scritto “vado, però resto”.
Mi sembrò una cosa così
tenera e originale. Andava perché il suo schema mentale gli imponeva così, ma
il suo cuore rimaneva li.
Guardammo in lontananza
lungo il cammino per salutarlo, ma non lo vedemmo, pensammo che doveva aver
camminato velocemente. Così continuammo a parlare tra di noi.
Dopo circa mezz'ora lo
vidi risalire le scale.
Scese le scale si era
fermato su una panchina che noi non potevamo vedere dalla posizione in cui ci
trovavamo. Era rimasto li, solo ad ascoltare ciò che sentiva dentro di se.
Decise così di restare.
Fui felice di
accoglierlo nel rifugio.
Non era importante ciò
che sarebbe accaduto tra di loro o se avessero continuato o meno a camminare
insieme, ciò che era importante era che al di la dei suoi schemi, era riuscito
ad ascoltarsi e ad accogliere e vivere quel dono che gli stava offrendo il
presente.
Durante il giorno li
vidi diverse volte continuare a chiacchierare rilassati, sereni e allegri. Mi
invitarono a cenare con loro, ma preferii lasciarli soli. Metteva allegria il
solo guardarli.
Avevano fatto un regalo
non solo a se stessi, ma anche a coloro che li circondavano in quel momento.
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