Di solito
il cammino è un posto abbastanza tranquillo, non ho mai avuto esperienze
rischiose.
Ma
accadde un giorno, quando ero hospitalera in un albergo per pellegrini, che
venne un uomo tedesco un po’ particolare.
Non ero
li quando arrivò, c’era una giovane ragazza tedesca in quel momento ad
occuparsi dell’accoglienza. Io ero andata a fare una passeggiata. Prevedevo di
passeggiare di più, ma ad un tratto sentii di voler tornare nell’albergo.
Arrivata
li trovai la giovane ragazza un po’ agitata e quest’uomo tedesco seduto in
attesa di qualcosa. Quando mi vide si sentì alleviata. Mi raccontò che l’uomo
era entrato chiedendo un posto per dormire, come di routine, che era su una
sedia a rotelle ma era entrato in albergo camminando e che continuava a ripetere
parolacce e minacce che, essendo tedesca, ovviamente lei capiva. Non sapeva che
fare.
Notai che
aveva bevuto e non mi sentivo di far entrare nell’albergo una persona in quelle
condizioni. Dissi alla ragazza di dire a quell’uomo di aspettare e di calmarsi
e che avrei contattato il responsabile della struttura.
A quanto
pare non la prese bene. Si alzò e con tutta la forza che aveva spinse la
scrivania verso di me e la ragazza in modo da bloccarci alla parete.
Fortunatamente, lateralmente alla scrivania, c’era l’entrata ad una sorta di
back office dove prontamente ci infilammo chiudendoci a chiave. L’uomo, in
preda di una qualche emozione negativa, prese a lanciare sedie e rompere tutto ciò
che trovò a portata di mano. Sentivo il rumore dei vetri e il trambusto della
forza distruttiva che lo possedeva in quel momento. Era evidentemente frustrato
e arrabbiato.
Chiamammo
la polizia e ci volle un po’ prima che arrivassero. Ero preoccupata per i
pellegrini nell’albergo e per quelli che sarebbero potuti entrare. Non sapevo
come avvisarli.
Fortunatamente
c’erano porte di vetro a separare l’entrata e la parte interna dell’albergo dalla
saletta dove tutto stava accadendo, cosicché i pellegrini si resero conto della
situazione e si misero al riparo, chiamando anch’essi la polizia.
Quando
sentii che fuori i rumori si erano calmati e le voci della polizia, aprii la
porta per uscire.
C’erano
sedie qua e la, pezzi di vetro ovunque e macchie di sangue. L’uomo era seduto
sul pavimento con la schiena appoggiata alla parete, era stremato. Come se
quella forza che l’aveva reso capace di tale atto si fosse dissolta lasciando
solo un uomo senza difese. Aveva le mani piene di sangue, le aveva usate per
rompere i vetri ovviamente ferendosi. Il fatto che si fosse ferito, che avesse
fatto del male a se stesso, era la prova che non c’era una razionalità in ciò
che aveva appena fatto.
Lo vidi
li seduto, stremato e ferito dalle sue stesse azioni e non potevo che sentire
una gran compassione.
Andai
verso di lui e mi piegai per essere alla sua altezza. Teneva la testa bassa
come a vergognarsi di ciò che aveva fatto. Rimasi li finché non alzò lo sguardo
per incrociare il mio. Quando questo accadde vidi la bontà nei suoi occhi
azzurri, vidi una persona buona in preda all’inconsapevolezza. Come potevo
colpevolizzarlo? Come potevo giudicarlo? Come potevo pensare che la persona che
aveva avuto una tale reazione era davvero il suo essere più profondo, la sua
essenza?
Quante
volte, in preda ai condizionamenti e all’inconsapevolezza, facciamo cose o
reagiamo in modi inappropriati o creiamo sofferenza a noi stessi o agli altri?
Non dico che
alcuni comportamenti debbano essere giustificati o che non si debba effettuare
alcuna azione in merito o allontanarsi da determinate situazioni, ma si può
davvero attribuire all’essenza della persona quel comportamento? Si può davvero
giudicare una persona come cattiva?
Ovviamente
c’era in quell’uomo della sofferenza, altrimenti non avrebbe ferito se stesso,
in quanto finì in realtà per essere l’unica vittima del suo stesso atto. E ovviamente non lo avremmo ospitato per la
notte o lasciato continuare fare ciò che stava facendo, ma potevamo sentire
compassione e dispiacere per quella persona.
La bontà
nei suoi occhi era la dimostrazione dell’esistenza di quel seme di bontà e
spiritualità presente in ogni persona. Ma non sempre il corso della vita, i
condizionamenti, le condizioni in cui cresciamo ci aiutano a favorirlo e
svilupparlo, ma questo non vuol dire che non ci sia e che in un qualche momento
possiamo scegliere di alimentarlo e coltivarlo.
Se
impariamo a riconoscere quel seme negli altri, lo riconosceremo anche in noi
stessi e saremo più capaci di perdonare e perdonarci e, attraverso il perdono,
dare più spazio a quel seme di germogliare.
Nessun commento:
Posta un commento